L'ANALISI
TEATRO PONCHIELLI. QUARANTESIMA EDIZIONE
17 Giugno 2023 - 08:25
CREMONA - «Esca di corte chi vuol esser pio», canta Ottone nell’atto secondo dell’opera, quando sta per trafiggere la bella Poppea, aspirante imperatrice, caduta in un sonno profondo. Ma il piano ordito dalla gelosa moglie di Nerone, Ottavia, sarà poi svelato: Ottavia verrà ripudiata, Ottone e Drusilla se ne andranno felici e beati in esilio, e Nerone e Poppea potranno crogiolarsi nel loro amore spregiudicato e, finalmente, libero.
In fondo, proprio in quel verso del libretto di Giovanni Francesco Busenello, si riassume il Leitmotiv de L’incoronazione di Poppea, che ieri sera ha inaugurato la quarantesima edizione del Monteverdi Festival con una calda accoglienza al teatro Ponchielli.
Intrighi, passioni, sangue, e un lieto fine che nemmeno i film della Disney avrebbero mai potuto concepire (il famoso «Pur ti miro» non monteverdiano che conclude l’ultima opera di Monteverdi). Non c’è spazio, in quest’opera, per la morale, soffocata nel sangue con la spietata uccisione di Seneca, che – come si diceva a scuola – «viene suicidato», costretto, cioè, a togliersi la vita per volere di Nerone, l’imperatore qui ancora rappresentato come capriccioso, violento, folle (anche se la critica moderna tende a rivalutare il suo operato, riportato dalla storiografia come truculento a causa della famosa damnatio memoriae in cui incorse).
Ma, al di là del dettaglio storico e dell’impianto trionfalmente libertario e libertino di quest’opera, che si conclude – amoralmente o immoralmente – con lo scioglimento dei legami sociali e con i protagonisti che si amano in barba agli ordini prestabiliti, il fatto che più colpisce per chi ammira questa meravigliosa opera frutto del genio monteverdiano (e della sua scuola, che completò l’opera con il maestro ormai anziano) è la possibilità di empatizzare per personaggi dissoluti e capaci di tutto, come Nerone e Poppea.
E nella regia di Pier Luigi Pizzi passa anche questo: non è più la corona che interessa a Poppea, ma il poter amare liberamente il suo Nerone, dismettendo le vesti di chi è costretto a fingere, tramare, calcolare. Un trionfo dell’amore sul dovere, del vizio sulla virtù. Qui sta tutta l’universalità di Monteverdi. Pizzi umanizza moltissimo Poppea, che non esagera con il civettismo, ma anzi, si contiene nobilmente in certi casi, pur concedendo tanto spazio al corpo e alla voluttà nei momenti di grande passione. Pizzi – che di questa produzione è il factotum, curando regia, scene, luci, costumi, movimenti e perfino l’aria respirata dai cantanti – elabora uno spettacolo elegante, ricco di simbolismo, studiato nel particolare.
I limiti della scena (una piazza) tracciati da due colonnati opposti, uno di prezioso marmo nero (il palazzo imperiale) e l'altro di una pietra non levigata (la casa di Poppea), un albero con i rami appassiti e anneriti dalla parte del palazzo (l’invidia di Ottavia) e dorati dalla parte di Poppea (la sua lussuria trabordante), la sfera dorata a simboleggiare il dominio di Amore sul mondo, al bordo del palcoscenico un letto, dove si consuma l’atto amoroso, e via dicendo.
Un allestimento ben pensato, che si muove bene, dove si gioca sapientemente con luci ed ombre. Ammesso che ce ne sia bisogno, dovendo trovare un difetto, avrei evitato casacche, stivali e brache di pelle nera che fanno più saga del Trono di spade che romanità classica, ma in fondo ci sta: Pizzi sceglie l’universalità del racconto, mettendo la parte la storicità filologica.
Il regista, che giovedì ha compiuto 93 anni dimostra un’energia ancora invidiabile, una voglia di fare totalizzante e travolgente. Sul piano musicale, ottima la direzione di Antonio Greco, alla guida dell’Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua. Dosa la parola, la avvolge, la illumina con sapienza e pazienza. Molto apprezzabile poi la scelta di eseguire la versione veneziana con innesti napoletani nei ritornelli musicali (l’opera è infatti tramandata da due manoscritti, uno veneziano e uno napoletano, che presentano tra di loro anche vistose differenze).
Precisione filologica che si sposa con la passione e la soavità della musica di Monteverdi. Lasciatevi affascinare dalla bellezza mistica e immortale del Barocco! Favolosa la compagnia di canto. La migliore in scena è l’affascinante e nobile Poppea di Roberta Mameli, sia vocalmente che scenicamente. Grande presenza scenica quella di Federico Fiorio nei panni di Nerone (con tanto di capello rosso: gli mancavano solo le tradizionali basettone).
L’Ottone di Enrico Torre ha un timbro potente ed elegante, uno dei migliori in scena. Struggente l’«Addio Roma» dell’Ottavia di José Maria Lo Monaco. Possente e dai gravi imponenti il Seneca di Federico Eraldo Sacchi. Prova eccellente per la Drusilla di Chiara Nicastro. Buona l’Arnalta di Candida Guida. I personaggi di Poppea sono moltissimi, tanto che molti interpreti hanno ricoperto più ruoli: Luigi Morassi, Luca Cervoni, Mauro Borgioni, Danilo Pastore, Francesca Boncompagni, Paola Valentina Molinari e Giorgia Sorichetti.
Tutti validissimi, con alcune punte di grande talento. Sala gremita, molto entusiasmo e anche qualche sana risata negli intermezzi più comici e sbarazzini (l’opera straborda di zozzerie).
Tutti in piedi, prima dell’inizio dell’opera, per cantare (o ascoltare) l’Inno di Mameli. Ad ogni modo, un grande avvio per questo festival, che si preannuncia assai interessante. Chi si fosse fatto scappare questa Poppea non si disperi: si replica venerdì prossimo sempre alle 20.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris