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CREMONA: L'INCONTRO

Talk. «La morte che arriva apre un buco nel cuore»

I temi-tabù del lutto e della nostalgia: teatro Ponchielli esaurito per lo psicanalista Recalcati

Luca Muchetti

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09 Marzo 2023 - 08:55

Talk. «La  morte che arriva apre un buco nel cuore»

Lo psicanalista milanese Massimo Recalcati

CREMONA - Non esiste un lutto davvero compiuto, ma non è un dramma, è una risorsa. Esiste una nostalgia-gratitudine infatti che, a differenza della nostalgia-rimpianto, ha la natura di una visitazione, come le luci delle stelle morte. Corpi morti da cui scaturisce la luce: luce che scaturisce da chi non è più con noi. Luce del passato che viene dal futuro. La luce delle stelle morte non ha a che fare con gesti eroici, ma con piccole cose». Massimo Recalcati affronta un tema-tabù come quello del lutto e della nostalgia nel primo appuntamento del ciclo Ponchielli Talk. «A 60 anni si fanno dei bilanci, e se dovessi fare un bilancio su ciò di cui mi sono interessato come psicoanalista dovrei dire che ho cercato di rispondere a una domanda: ‘Di cosa è fatto un essere umano?’. Siamo fatti di parole, non tanto quelle pronunciate ma quelle ascoltate e che hanno marcato la nostra vita. Parole indimenticabili che hanno bucato la superficie della nostra vita. Parole d’odio, d’amore, indimenticabili. Siamo fatti degli incontri che abbiamo fatto. E poi siamo fatti di tutti i nostri innumerevoli morti, di ciò che abbiamo conosciuto e perduto».

Teatro Ponchielli stracolmo di pubblico in occasione dell’incontro con Massimo Recalcati

Non solo i defunti che abbiamo perso, ma i morti più in generale, gli amori finiti, gli amici che hanno tradito, i progetti

Il lutto è fatto di due vuoti: lei o lui non c’è più, è come perdere un luogo dove stare. Il secondo vuoto è quello che si apre dentro di noi: un pezzo di noi che se ne va con chi scompare

infranti, i grandi ideali dissolti. Recalcati cita quindi Hannah Arendt: «L’essere umano non è fatto per morire», perché la morte è sempre prematura, viene sempre troppo presto. «Quando la morte viene si apre un buco nel mondo – spiega a un teatro tutto esaurito -, ma non per chi muore. Chi resta fa esperienza del lutto, una reazione emotiva di fronte al trauma della perdita. Il lutto è fatto di due vuoti: lei o lui non c’è più, è come perdere un luogo dove stare. Il secondo vuoto è quello che si apre dentro di noi: un pezzo di noi che se ne va con chi scompare». E di fronte al trauma ci sono tre possibili risposte: le prime due sono patologiche. C’è la reazione melanconica, che immobilizza il tempo nel momento della perdita. C’è la mania, quella che dice: «Non è successo niente, non piango, non soffro, sostituisco l’oggetto perduto con qualcosa di nuovo». Il lavoro del lutto trasforma la perdita in separazione: non esiste lutto rapido, ci vuole tempo, altrimenti cade nella menzogna maniacale. «E poi ci vogliono dolore e memoria: è un lavoro che conosce un punto di compimento. Un lutto si compie quando la sensazione è quella di una vita più leggera, cioè quando si ‘torna’ nel mondo. Freud riteneva che questo ritorno nel mondo implicasse una sorta di oblio dell’oggetto perduto… una lettura forse troppo ottimistica: portiamo con noi non tutto ma una parte di chi abbiamo perduto». La gratitudine è il modo per rapportarci al passato più capace di renderci eredi di tutto ciò che è stato, il modo per preservare in vita chi non c’è più.

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