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TEATRO. L'INTERVISTA

Recalcati al Ponchielli: «Trovo la morte troppo ingiusta»

Lo psicanalista mercoledì 8 alle 21 rifletterà su lutto, nostalgia e assenza

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

07 Marzo 2023 - 10:31

Racalcati al Ponchielli: «Trovo la morte troppo ingiusta»

Massimo Recalcati

CREMONA - Lutto e nostalgia due termini che raccontano di un’assenza. Questo almeno secondo Massimo Recalcati che domani sera (ore 21) sarà al Ponchielli per riflettere su due termini che sono ritornati, in vario modo, nello spettacolo ‘Addio fantasmi’ di Fanny & Alexander con Anna Bonaiuto e Valentina Cervi, rispettivamente madre e figlia chiamate a confrontarsi con l’assenza dell’uomo di casa fra dolore per la perdita e nostalgia per il passato.

E siccome il teatro sollecita domande, più che dare conferme, il tentativo di risposta è offerto dall’incontro con Recalcati che affronta il tema del lutto nel saggio ‘La luce delle stelle morte’, pubblicato da Feltrinelli.

Nel marzo 2020 la sfilata di camion che portavano le bare via da Bergamo, l’incrudelirsi della pandemia ci ha fatto fare i conti con la morte. Fino ad allora sembrava che l’intero corpus sociale avesse rimosso la morte. Perché?
«Il delirio di onnipotenza nel quale l’essere umano è immerso ci ha condotto a negare l’esistenza del limite di cui la morte è la massima espressione. La pandemia ci ha ricordato drammaticamente questi limiti che noi avremmo voluto rimuovere. Quello che abbiamo gettato impunemente dalla finestra è ritornato violentemente dalla porta».

 C’è una relazione fra il suo saggio ‘La luce delle stelle morte’ e gli anni pandemici da cui veniamo?
«Non direttamente. Ho concepito questo saggio molto tempo prima. Tuttavia è innegabile una sua attualità. Siamo stati circondati dalla morte. Pensavamo di averla scampata ed è arrivata la guerra. È stato un uno-due terrificante. Credo che questo contesto sia sufficiente a spiegare le ragioni della diffusione così ampia che questo libro ha avuto nel nostro paese e le numerosissime richieste di traduzione che sono giunte da diverse parti del mondo. Per la prima volta uscirà un mio libro nella lingua cinese».
 
In pandemia si sono sospesi i riti, anche i funerali. Questo ha pesato nell’elaborazione del lutto?
«Indubbiamente. Il rito del lutto non attenua il carattere sempre prematuro, atroce, doloroso della morte. Non di meno definisce una differenza fondamentale tra la vita umana e la vita animale. Il rito della sepoltura è infatti, dal punto di vista antropologico, uno dei riti principali dell’umanizzazione della vita».

 Che cos’è il lutto?
«È la reazione emotiva che noi sperimentiamo di fronte al trauma della perdita. Non necessariamente della morte. L’esperienza del lutto accade ogni qual volta perdiamo un oggetto che dava senso al mondo. Accade quando finisce un amore, come quando si perde un lavoro per noi molto importante, accade quando si infrange un ideale, come quando finisce un’amicizia».

Il lutto è riparazione di una perdita?
Il lutto è una perdita che può dar luogo ad un lavoro. È quello che Freud chiama lavoro del lutto. Questo lavoro implica tempo e dolore psichico. Non esiste lutto rapido come non esiste lutto indolore. Nel lavoro del lutto noi costeggiamo più volte il vuoto lasciato dall’oggetto perduto. Si tratta di un lavoro della memoria. Al termine di questo costeggiamento la vita può ricominciare a vivere, può riaprirsi al mondo. La sensazione che un lavoro del lutto comporta è quella di sentirsi alleggeriti da un peso. Ma questo lavoro non può essere considerato un lavoro di riparazione. La perdita resta irreparabile. È solo la gratitudine nei confronti di chi non è più con noi che può mantenere vivo il legame che si è interrotto».

 Per chi è giovane la morte è una possibilità non computata. La morte è sempre degli altri. Quando nasce la consapevolezza del morire o meglio la paura di morire? Basta invecchiare perché la morte si faccia più incombente?
«Solitamente nel tempo dell’adolescenza, la scoperta del sesso è sincronica alla scoperta della morte. Ci sarebbe molto da dire su questa sincronicità. È evidente che il passare degli anni avvicina il punto della fine. Ma la morte non è l’ultima nota della melodia dell’esistenza. È piuttosto una presenza che accompagna la nostra vita sin dal suo primo respiro. È un’altra differenza rilevante tra la vita umana e la vita animale. Nel libro biblico L’Ecclesiaste si dice che i giorni di tutti gli esseri viventi, del fiore come della formica, dell’uomo come del cane sono contati. La differenza tra noi e gli animali è che noi li contiamo».

 Lei ha paura della morte?
«In realtà non penso ad altro. Sin da quando ero ragazzo. Non so però se pensarci così assiduamente significhi averne paura. Quella che so per certo è che la trovo profondamente ingiusta. Gli esseri umani non sono fatti per morire. Io vorrei che continuasse. Ancora per un milione di anni. Sono certo che non mi stancherei mai di vivere».

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