L'ANALISI
02 Dicembre 2022 - 08:26
Andrea Cigni e una scena della Traviata (©Studio B12))
CREMONA - Si chiama sempre Violetta, un nome antico che rievoca zuccherini di rosolio, cassetti odorosi di lavanda e fazzolettini ricamati. Ma la protagonista della Traviata in scena al Ponchielli stasera (ore 20) e domenica (ore 15,30) è una persona transessuale, che donna lo è diventata perché è «quello che ha scelto di essere», come ha sottolineato il regista Luca Baracchini. La lirica ha un pubblico che di solito è tradizionalista, che accetta sì i cambiamenti ma solo a piccole dosi e che spesso non nasconde le proprie contrarietà. Cresce quindi l’attesa per questa produzione che vede il Ponchielli teatro capofila in seno a OperaLombardia: perché Traviata è tra i titoli più amati e conosciuti del repertorio lirico e perché incuriosisce vedere come sarà lo spettacolo e quale sarà la reazione degli spettatori. Vale la pena ricordare che Baracchini e il suo giovane team creativo hanno vinto il Bando Under35 per il progetto di regia del titolo per OperaLombardia. La sua scelta artistica - e ancora prima la sua libertà - è difesa da Andrea Cigni, sovrintendente del Ponchielli.
Che cosa vorrebbe dire al pubblico alla vigilia di questa Traviata?
«Che questo è uno spettacolo bellissimo, molto poetico. Mi piacerebbe che il pubblico venisse a teatro a mente sgombra e senza pregiudizi, e con la massima disponibilità. È un invito che vale anche per me quando vado a vedere uno spettacolo come spettatore: si è carichi di aspettative e si sa forse troppo di quello che andremo a vedere. Aspettative più che legittime, ma credo che si dovrebbe essere più disponibili al confronto con ciò che non si conosce».
Perché in questa Traviata Violetta è una persona transgender?
«Per restituire il senso della contemporaneità di Verdi. Traviata è andata in scena per la prima volta nel 1853. Allora era sicuramente una tragedia per un padre scoprire che il proprio figlio frequentava una prostituta, mentre oggi probabilmente non è più così. Mentre è difficile ancora oggi accettare l’omosessualità del proprio figlio o figlia e pensare a una relazione con una persona transgender. Quando Verdi mette in scena Traviata per la prima volta, nel 1853, la censura gli impone di ambientare la storia nel Settecento e trasforma i personaggi. Verdi si arrabbia tantissimo. Chiede dove sia la sua Traviata e scrive lettere di fuoco, sostiene di aver messo in musica la storia di una puttana. E una storia dei suoi tempi, perché la storia di Violetta è ambientata proprio in quegli anni. Verdi si sente profondamente italiano, ma è anche un anti-italiano che mette in evidenza le contraddizioni e le ipocrisie della società del suo tempo, in particolare della borghesia molto bigotta. Allo stesso modo questa Traviata racconta la realtà e la società contemporanea, una realtà e una società con cui vale la pena confrontarsi perché è in questa società e in questa realtà che tutti noi viviamo».
Le etichette sono necessarie?
«Non dovrebbero esserlo, ma purtroppo c’è molta ignoranza, nel senso di mancanza di conoscenza degli argomenti. Anche per questo si fa fatica ad accettare ciò che è diverso, che non è conforme invece di imparare a conoscere la multiforme essenza dell’essere. Anche per questo mi piacerebbe che non ci fossero pregiudizi su questa Traviata e su Violetta».
Non c’è provocazione per il solo gusto di provocare?
«No, assolutamente. C’è molta poesia. Il finale, per esempio, è bellissimo. Lei muore come deve morire, ma è la morte di una donna che per tutta la vita ha cercato di essere accettata e di essere amata. Baracchini e il suo team hanno vinto un bando per under 35, sono un gruppo giovane e si avverte la loro energia. Affrontano questo tema con grande naturalezza: vivono nella società contemporanea e molti di loro hanno amici o amiche omosessuali o lesbiche o transgender. E, ripeto, non si dovrebbero etichettare le persone».
Ha messo in conto che lo spettacolo potrebbe non piacere e potrebbe essere contestato?
«Sì, ed è legittimo che lo spettacolo non piaccia. Compito del teatro, però, è quello di far pensare, di suscitare un dibattito e di creare un contraddittorio. Dopo la rappresentazione di Gioconda, in una versione molto tradizionale, molti spettatori mi hanno detto: bravo, continua così. Ma sarebbe troppo facile inseguire solo il consenso, non è questo il compito del teatro, che deve contribuire a far crescere la società e a formare una coscienza. Il teatro parla alla società e della società e certi temi fanno parte del nostro tempo e quindi devono essere rappresentati e posti di fronte al pubblico. Lo spettacolo poi può piacere o non piacere, si può essere d’accordo o no, ma non si può evitare di accendere una discussione».
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