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L'INTERVISTA

«Nel mio Ponchielli il futuro è dei giovani»

Alla vigilia dell’avvio della stagione, il sovrintendente Cigni fa un bilancio e traccia le nuove prospettive: «La pandemia ha cambiato la fruizione dello spettacolo. Dobbiamo tenerne conto»

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

23 Agosto 2022 - 09:50

«Nel mio Ponchielli  il futuro è dei giovani»

Andrea Cigni

CREMONA - «Il teatro, il futuro» è il nuovo slogan a cui il Ponchielli affida la prima parte della stagione 2022/2023, dopo che dalla riapertura post-Covid il sovrintendente Andrea Cigni ha deciso di pensare la programmazione in due blocchi: da settembre a dicembre e da gennaio a maggio.

Nella prima parte del cartellone del ‘22 i numeri evidenziano, pur nel corso di un andamento positivo di presenze, una contrazione di pubblico in linea con la media nazionale, ma le cui valutazioni verranno condivise nei prossimi mesi a seguito di una analisi con gli organi del teatro.

Il festival Monteverdi ha totalizzato in tutto 2.691 biglietti staccati, gli spettacoli da gennaio a maggio hanno fatto registrare una contrazione di presenze — i biglietti staccati superano le 15 mila presenze — ancora da valutare nel suo complesso, ma in linea di massima facendo meglio di molti altri teatri di ospitalità. 

Oltre alle modalità
di accesso tradizionali, abbiamo pensato anche a un carnet composto di quattro spettacoli:
uno per genere,
con uno sconto del 20% puntando
sulla curiosità

Il Ministero della Cultura ha «premiato» il Ponchielli nella sezione dei Teatri di tradizione per la programmazione di musica e opera, e ha riconosciuto la qualità del Festival Monteverdi che risulta nella top ten delle kermesse più importanti d’Italia. Sono risultati che raccontano di un’attenzione alla qualità che dà i suoi frutti, una volta tanto il dato quantitativo non spiega tutto, ma si limita a fornire un aspetto della complessa macchina della programmazione teatrale.

I numeri infatti non dicono tutto e a esserne convinto è il sovrintendente Andrea Cigni: «Il nostro teatro ha sostanzialmente tenuto le posizioni, abbiamo una media di occupazione della capienza del 40%, in altri teatri il calo degli spettatori è arrivato anche all’80% — spiega -. Credo che il riscontro ottenuto dal Festival Monteverdi con un pubblico eterogeneo sia un bel segnale. Il Monteverdi Festival deve rappresentare il tratto distintivo del teatro: ci stiamo lavorando, in sinergia con l’amministrazione e con le forze del territorio, nella speranza di poter raggiungere il riconoscimento di Festival di interesse nazionale».

Questo per il futuro. E pensando al futuro c’è chi ha mostrato perplessità per un cartellone suddiviso in due periodi.
«La scelta è stata dettata sia dalla necessità sia da un obiettivo virtuoso. La necessità è rappresentata dalla riapertura dei teatri dopo la pandemia con continue sospensioni. L’obiettivo virtuoso, quello che più mi interessa, consiste in due azioni fondamentali: intrecciare pubblici eterogenei e contemporaneamente intercettare novità artistiche che vengono prodotte immediatamente dopo l’estate; se il nostro cartellone durasse fino a maggio, non avremmo modo di inserire alcune di queste nuove proposte in corso d’anno».

ponchielli

Una scena di Sweet Silence in Cremona

Nobile l’obiettivo, ma ciò non sembra bastare a rassicurare gli spettatori.
«Il cartellone è sempre unico. Il cartellone è la stagione. Noi ne abbiamo due, con due periodi, con più generi. Vediamo poi nel corso degli anni come ci adegueremo alle necessità che la nuova situazione imporrà. L’idea di fondo è quella di offrire la possibilità di confrontarsi con diversi generi, nella consapevolezza che le arti performative vivono sempre più di contaminazioni. Le contaminazioni sono innate proprio in quel pubblico giovane che vogliamo affascinare, ingolosire e richiamare a teatro chi mal sopporta gli steccati troppo rigidi».

I giovani, ovvero la chimera del teatro italiano. Come pensa di conquistarli?
«Pensare al rinnovamento del pubblico è determinante. La pandemia ha influito pesantemente sugli abituali frequentatori del teatro e non solo perché alcuni di loro ci hanno lasciato, ma anche perché c’è chi ancora teme di frequentare luoghi al chiuso, per quanto i teatri siano uno spazio sicuro e protetto».

Ma al di là di questo nella prima parte di stagione 2022/2023 sono tornati gli abbonamenti divisi per genere. Un passo indietro rispetto all’unico cartellone?
«Stiamo sperimentando, pur mantenendo anche una tradizionale modalità di frequentazione. I momenti come questo impongono di capire e seguire quanto a livello sociologico e antropologico stia cambiando: il teatro ascolta e si adegua al presente e al futuro, come ha sempre fatto. La situazione pandemica ha permesso di immaginare un ritorno alla normalità anche da questo punto di vista. Oggi, oltre alle modalità di accesso tradizionali, abbiamo pensato anche a un carnet composto di quattro spettacoli: uno per genere, con un conseguente sconto del 20%. Con questa idea, sostenuta dalla forte agevolazione sul prezzo (che ha comunque un costo importante per il teatro) immaginiamo di poter invitare gli spettatori a ‘provarsi’ un po’ in tutte le proposte del teatro».

La prossima stagione abbina la parola teatro a futuro. Come immagina il futuro del Ponchielli?
«Mi piace pensare a un Ponchielli sempre più aperto alla città, accogliente, partecipato, inclusivo. Un Hub culturale e formativo (ora il termine va molto) che corrisponda ad aggregazione, ritrovo, confronto. Parte di questo cammino lo abbiamo fatto nella collaborazione con soggetti pubblici e privati del territorio: dalle associazioni, alle scuole, alle realtà socio culturali della comunità».

Belle parole, ma poi concretamente come affrontare aumento dei costi?
«C’è stato l’ingresso di nuovi soci fondatori: Ecomembrane e Decal, ma anche l’aumento degli sponsor intervenuti sia attraverso l’ArtBonus sia firmando progetti speciali del teatro, immaginando percorsi comuni e idee sulle quali ritrovarsi. Penso all’efficientamento energetico. Ciò che mi piacerebbe passasse è che il futuro del nostro teatro è legato proprio alla città in cui si trova, per questo il Ponchielli deve essere uno spazio sempre più aperto, capace di coinvolgere anche chi non crede di avere affinità elettive con lo spettacolo dal vivo. In questo siamo sostenuti anche da una originale campagna di comunicazione». 

Abbiamo
una media
di occupazione della capienza
del 40%, in altri teatri il calo degli spettatori è arrivato anche all’80%. Credo che il riscontro ottenuto
dal Festival Monteverdi sia un bel segnale

Che ha fatto storcere il naso ai più: all’inizio fu l’uovo, poi gli animali e col Monteverdi lo stile fast food?
«L’obiettivo della nostra campagna è quello di fare in modo che persone non necessariamente interessate al teatro possano essere sollecitate da immagini che ne attirino l’attenzione, muovendoci secondo dinamiche più contemporanee. L’obiettivo è far passare l’idea che in teatro accada qualcosa che interessa anche a chi non crede che i linguaggi performativi facciano per lui. Questo vale a maggior ragione per i giovani, ai quali chiediamo di non usare in teatro il loro smartphone quasi dimenticando che rappresenti il 90% della loro vita; una vita fatta di nuovi linguaggi, anche digitali, e condivisione continua di emozioni, sentimenti, esperienze. Il Teatro è un’esperienza, dobbiamo educare noi stessi e gli altri a usare i mezzi di comunicazione nel modo corretto: perché no, anche il cellulare in una sala teatrale».

Intende sdoganare l’uso degli smartphone in sala?
«No, ma certo bisogna tener conto che i ragazzi e non solo loro, abbiano come interfaccia lo smartphone: in esso passa il loro mondo, passano le loro relazioni. Nel rispetto degli artisti, la possibilità di condividere emozioni e il fatto di stare a teatro è importante; è da qui, dalla narrazione dell’emozione che ti offre il teatro che bisogna ripartire, anche a colpi di storie su Instagram. La forza del teatro nel corso dei millenni è stata quella di saper intercettare i cambiamenti sociali e antropologici, sapersi adeguare e sopravvivere anche a mutamenti sociali fortissimi. Noi facciamo esattamente ciò che il Teatro chiede di fare: saper leggere il contemporaneo, forti di una memoria storica preziosa, proiettati nel futuro».

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