L'ANALISI
28 Ottobre 2025 - 05:30
Viviamo un momento particolarmente difficile. In pochi anni, dal Covid in poi, si sono sgretolate ad una ad una gran parte delle certezze alle quali eravamo abituati: l’illusione della pace sistemica, la supremazia dell’Occidente, la leadership mondiale degli Stati Uniti, la globalizzazione, il rischio climatico non più solo come una minaccia per il futuro, ma come un’incombenza che grava ormai anche sul nostro presente.
I conflitti bellici, in particolare, si diffondono e non si spengono e anche le tregue rischiano di rivelarsi effimere e, comunque, sono sempre continuamente a rischio. L’Occidente, un tempo dominatore indiscusso, si spegne lentamente sia dal punto di vista demografico che economico e si divide tra un liberalismo ormai in affanno e un sovranismo populista.
Quell’America che conoscevamo come garante dei valori universali si dimostra oggi come un Paese che ragiona solo in termini di forza e di propria convenienza. La globalizzazione ha finito di distribuire benessere e concentra sempre di più la ricchezza nelle mani di pochi.
Oggigiorno persino una pioggia particolarmente abbondante e insistente, ovvero una siccità prolungata, possono comportare conseguenze fino a ieri inimmaginabili. Emerge così un mondo in cui l’imprevedibilità appare come l’unica certezza. Forse allora, per affrontare la situazione, è il tempo di cambiare il paradigma.
Troppo spesso, infatti, di fronte alle complessità l’istinto è quello di schierarsi a favore dell’una o dell’altra parte. Ucraina o Russia, Israele o Palestina, globalizzazione o sovranismo, intelligenza umana o intelligenza artificiale, autocrazia o democrazia, austerità o debito, frontiere chiuse o politiche migratorie più aperte e lungimiranti, giovani o anziani in un mondo in cui, specie a Occidente, i primi sono sempre di meno e i secondi sempre di più.
Credo che per governare la complessità e per prevenire un destino altrimenti inevitabile, sia davvero necessario affrontare i problemi con un approccio diverso. Bisogna innanzitutto pianificare una strategia che parta dal futuro desiderato e condiviso per poi, a ritroso, lavorare per capire quali passi si rendano necessari per poterci arrivare.
È tempo di smetterla di continuare a gestire i problemi unicamente per gli effetti immediati che questi possono avere, incuranti di quello che, alla lunga, sarà il loro effetto futuro. Secondariamente, bisogna finalmente ragionare per sintesi. La sintesi è la capacità di riconoscere la parzialità di ogni punto di vista e di comporre gli opposti in una visione più ampia, dove il vero non è esclusivo, ma inclusivo.
Riconoscendo che la verità non si trova mai da una sola parte ma, necessariamente, nell’incontro di prospettive diverse. Un modo di pensare che non nega il conflitto, ma lo attraversa per generare una comprensione della realtà più sistemica e profonda.
Ragionare in questo modo significa costruire politiche che partano dal futuro desiderato per orientare il presente, trasformando le contrapposizioni di oggi in complementarità al servizio di una visione comune.
Un futuro che non dev’essere più il punto di arrivo imposto dal presente, ma deve diventare l’esito di un processo che riconcilia e armonizza le forze oggi in conflitto, orientandole verso una direzione comune.
Dobbiamo infatti essere consapevoli che una politica priva di visione sintetica e di orientamento al futuro rischia di restare prigioniera dell’immediato, condannata a gestire i conflitti invece di avere la capacità di trasformarli e a rincorrere il cambiamento invece di essere in grado di guidarlo.
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