L'ANALISI
21 Ottobre 2025 - 05:30
Riprendo il filo da qui, dal quotidiano in cui accadono piccole cose, tassello minuscolo entro uno scenario mondiale che non rasserena.
Riprendo a narrare qualcosa, eppure non per caso, sicura (ma non sta scritto in nessun manuale di tuttologia e nemmeno lo mostra alcun video tutorial) che il piccolo è specchio del grande, che c’è un nesso tra guerre mondiali e il passero d’inverno alla finestra e noi spettatori, ma con le briciole dei cantuccini in mano.
Tutto sta nell’ascoltare le affinità in chiamata.
«Ma la sintassi?» chiedo all’amica collega, al telefono con me. Sento che ci accontentiamo, che siamo felici se soggetto-predicato-complemento sono in fila in una frase scritta e se la paratassi (che non è un’offensiva militare) è talvolta, casomai, interrotta da una subordinata di primo grado. Non di più, si intende. E lei: «Ma cosa è successo? Cosa possiamo fare?».
Come in un sogno, dove l’improvvisamente e il lentamente convivono, mi pare di sentire quasi un coro da teatro greco che sussurra: ci appoggiamo a una speranza che ci osserva facendoci domande.
Sul display lampeggiano dodici numeri tra il rotondeggiante e lo spigoloso. «Scusa, ho sotto una chiamata», dico già in dubbio. Ma chi ci chiama? Per saperlo basta un gesto leggero: cornetta verde.
Alcune voci sono umane, così che possa almeno scattare empatia nell’ascoltarle. Si dichiarano corrispondenti a un nome, talvolta perfino provvisto di cognome; chiamano da uffici di qualcosa, in nome di qualcun altro. Ed ecco: ci invocano per nome, come il giorno del battesimo.
«Parlo con Adelaide?», mi domanda. Il quesito è abissale: stavo fissando la clessidra verde che tengo sulla scrivania (per ricordarmi di alzarmi, di tanto in tanto, mentre lavoro) e mi si apre davanti un altro mondo, come da sotto in su a guardare la cupola di un battistero. Chi sono? Sono proprio me stessa? Che significa quel nome?
Nel frattempo, di là dalla chiamata, sento propormi con laconica noia (proprio come se la frustrazione fosse convincente) uno scenario apocalittico di aumento dei prezzi; ma ecco che la voce allunga la mano, c’è chi è pronto ad aiutarci rimodulando tariffe per le forniture di energia, perché è importante che possiamo risparmiare. Ma risparmiare cosa? Se abbiamo già perduto troppi istanti sull’attenti del nulla, potremmo almeno divagare sull’orlo del tempo, cercando di scoprire cosa abbia valore per noi.
E invece diventa impossibile, tra una chiamata e l’altra; perché a quella voce ne seguono altre, e altre ancora, finché smettiamo di rispondere, scegliendo la chiusura a ogni richiamo – cornetta rossa in risposta a tutto, a tutti. Se spegni la suoneria resta comunque l’illuminarsi del display, insistente; e non puoi stare senza quel coso che il vocabolario definisce apparecchio elettronico portatile utilizzante una rete di telecomunicazioni senza fili per permettere la comunicazione vocale, e non solo. Senza, saresti disconnesso. Ma disgiunto da chi?
Allora rispondo, almeno ogni tanto. In fondo, a chiamare sono persone che, se mentono, più o meno spudoratamente, lo fanno per guadagnare qualcosa lavorando tutto il giorno per poi tornare a casa e ricevere identiche chiamate da altre voci. Non sempre, tuttavia; ci sono infatti anche le frasi registrate, perlopiù glaciali, con le offerte di ogni tipo, tutte ‘imperdibili’: i depuratori domestici, i pannelli solari, il monopattino elettrico e molto altro ancora. Per loro siamo, inequivocabilmente, il ‘gentile cliente’. Ma cliente di chi? Dipendenti dalle voci, ecco il fatto.
Allora hanno voce in capitolo anche i libri, sedimenti di voci lontane, di persone passate, di miti e pensieri. Racconta sant’Agostino nelle Confessioni: «Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: ‘Prendi e leggi, prendi e leggi’. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai». Allora Agostino va ad aprire il Vangelo e trova una risposta che lo chiama. Non gli serve altro. Perciò accade che «una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono» (Confessiones, VII).
Alzarsi fa la differenza, ecco. Smettere di disperarsi, di bofonchiare, di dire che così non si va avanti. Aprire una pagina del nostro nome, l’unica in grado di chiamarci dal profondo, e accettare che ci faccia luce verso il prossimo passo, cominciando da un giorno come un altro – non quello di irrinunciabili profferte e della clientela affannosamente aggiornata. Sono fatti semplici, nel loro miracoloso accadere, non questioni dotte; se restano in testi purtroppo confinati sullo scaffale delle ‘cose difficili’ è solo perché abbiamo dismesso l’anelito all’ascolto.
Insieme — quasi ma non ancora del tutto — alla trasmissione di una cultura che non è la somma di nozioni né un sacchetto di citazioni smaglianti da ricordare servendo il caffè, bensì la scoperta di un orizzonte in cui vivere sentendosi parte di un tempo che fluisce. Un tempo in cui leggiamo, camminiamo, incontriamo, prendiamo spazio per pensare.
Quando san Francesco varca per la prima volta la soglia della chiesetta diroccata di San Damiano, dove incontra l’immagine del Crocifisso (episodio così noto da non dover ora essere ricordato per esteso), si sente chiamare per nome. Nel racconto scritto da Tommaso da Celano alcuni decenni più tardi, in pieno Duecento, l’espressione latina è illuminante: «Vocans enim ipsum ex nomine» (Memoriale in desiderio anime, 10), vale a dire che la presenza divina chiama proprio lui, anzi lo ‘tira fuori’ dal suo nome. Ma quel nome chi lo conosce davvero?
L’amica, nel frattempo, è ancora sotto: chiamata in attesa. «Ti chiamo dopo», le dico al volo. E lei: «Dopo non posso, ho il richiamo del vaccino». Siamo serene, ci sentiremo un’altra volta, il discorso non si spezza tra le pause quotidiane. Per fortuna ci si appoggia a vicenda, con un pizzico di buona volontà. Ma possiamo sottrarci alla follia dei call center? E poi: quale chiamata silenziare?
Nel quarto capitolo della Storia Ecclesiastica degli angli Beda il Venerabile, vissuto tra VII e VIII secolo, racconta di un uomo di nome Kaedmon che, ritiratosi da un banchetto, va a riposare nella stalla. Ma qui una voce come in sogno lo chiama: «Kaedmon, cantami qualcosa». Risposta: «Non so cantare, e proprio per questo me ne sono andato, perché non potevo cantare». «Ma ora devi cantare per me». Domanda: «Che cosa devo cantare?». «Canta il principio della creazione».
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