L'ANALISI
23 Ottobre 2025 - 05:05
CREMONA - Cremona gli adolescenti sono un frammento sottile di futuro in un mosaico sempre più anziano. Meno di 5.500 ragazzi tra gli 11 e 19 anni in una città che supera i 71mila residenti: un adolescente ogni quattro over 65. È il dato più basso della provincia – appena il 7,68% – e uno dei peggiori in Italia, ben al di sotto della media nazionale (8,7%). Dietro le cifre si nasconde una questione che non è solo demografica, ma profondamente culturale, sociale e perfino etica: quella di una comunità che rischia di non avere più chi ne raccolga l’eredità.
L’inversione della piramide generazionale è un tema noto, ma a Cremona assume contorni più acuti. Se da un lato la longevità è un successo – la provincia è quinta in Italia per qualità della vita dei senior, secondo l’ultimo report de Il Sole 24 Ore — dall’altro la rarefazione della giovinezza interroga sulla tenuta del tessuto sociale. È un paradosso apparente: si vive bene, ma si nasce poco. Si garantisce benessere, ma non si rinnova la linfa. La città cresce nella cura, ma fatica nella rigenerazione.
La fotografia dell’Istat – che mette Cremona accanto a centri come Pavia, Pisa o Ferrara, tutti attorno al 7% di adolescenti – racconta una geografia del rallentamento. I territori che per tradizione hanno rappresentato il cuore produttivo e culturale del Paese si trovano oggi a corto di giovani. Non è solo un fatto di natalità: è anche il segno di una migrazione silenziosa, fatta di ragazzi che crescono altrove. E ogni partenza lascia un vuoto, non solo anagrafico ma anche identitario.
La Fondazione Openpolis rileva che in Italia gli adolescenti tra gli 11 e i 19 anni sono circa 5,1 milioni, con differenze significative da regione a regione. Nel Mezzogiorno e in alcune aree del Nord più vivaci – come il Trentino-Alto Adige – si supera il 9%; in Sardegna, Liguria e Molise non si arriva all’8%. È una geografia del futuro a macchia di leopardo, dove la densità di gioventù coincide spesso con la vitalità dei territori. E non è un caso che le aree più giovani siano quelle dove la comunità mantiene ancora un senso di coesione, dove le relazioni familiari e sociali sostengono il percorso verso l’età adulta.
Nel Cremonese, tra i dodici comuni sopra i 5mila abitanti, solo Soresina tocca la doppia cifra, con un 10,25% di adolescenti: un’eccezione in una tendenza generale di contrazione. Tutti gli altri centri si muovono tra l’8 e 9%, mentre l’incidenza degli over 65 resta ovunque alta: quasi il 30% a Pizzighettone, oltre il 27% a Soncino e nel capoluogo. La media provinciale è di un teenager ogni tre ultra 65enni. Eppure i numeri, da soli, non bastano a definire la qualità di una comunità.
La provincia di Cremona – sesta in Italia per benessere giovanile – dimostra che la vita dei ragazzi può essere buona anche in un contesto numericamente fragile. Servizi, sicurezza, scuole, spazi sportivi e culturali: tutto concorre a creare un habitat favorevole. Ma resta la domanda più scomoda: quanto è sostenibile una società in cui i giovani sono minoranza e gli anziani maggioranza assoluta? Non si tratta di un equilibrio statico, ma di un processo che si autoalimenta. Meno giovani significa meno famiglie, meno nascite e, perciò, meno energia per innovare. Perché gli adolescenti – per definizione – rappresentano la tensione al domani. Quando diventano pochi, anche il linguaggio collettivo perde vivacità. Eppure, proprio nella “rarefazione”, può germogliare un nuovo modo di guardare ai giovani. La loro minoranza li rende preziosi, non scontati. Ogni adolescente diventa un capitale umano e simbolico da coltivare con cura. La sfida per Cremona – e per tante città simili – non è solo aumentare i numeri, ma restituire senso e prospettiva all’essere giovani. Creare opportunità, dare fiducia, offrire motivi per restare o tornare. Forse, allora, la vera ricchezza di un territorio non sta tanto nel conteggio delle età, quanto nella capacità di tenere insieme le generazioni. Di costruire ponti, non piramidi.
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