L'ANALISI
04 Ottobre 2025 - 05:20
CREMONA - «Da quando ho fatto la donazione del midollo, io mi sento completa. È come se io avessi compiuto la missione per cui sono viva. Ho fatto una cosa talmente tanto grande come, penso, dare alla luce un bambino. In quest’ultimo caso, dai la vita, nel caso della donazione, la salvi. Non c’è niente di più importante, di più forte del sapere che puoi salvare una persona. Anche perché la compatibilità è talmente bassa: 1 su 100mila. Ci sei solo tu che puoi farlo». Lei è Anna , oggi ha 28 anni, è cremonese da parte di mamma. Ai tempi dell’università ha donato il suo midollo, risultato «molto compatibile» con il paziente ricevente, una persona italiana, nel suo caso.
Allo stand dell’Admo per la ‘tipizzazione’, non si è avvicinata per caso. Anna ha conosciuto le malattie del sangue in famiglia, quando, anni fa, la sua mamma ha scoperto di avere un linfoma non hodgkin: le cure e la guarigione. «Poi, due amiche tipizzate me ne avevano parlato. Ma quando in tv hanno detto che c’era un bambino malato, ho capito che era il momento giusto». In quel periodo, Admo aveva organizzato eventi di tipizzazione massiva, tra i quali uno vicino all’università. «Sono andata e mi hanno prelevato il sangue».
Passano alcuni mesi. Anna è in montagna, sta preparando gli esami della sessione estiva. Il suo smartphone squilla. Lei non ha quel numero in rubrica. «Per fortuna che ho risposto». La stavano chiamando dall’ospedale. «Mi hanno detto che ero risultata molto compatibile a un primo controllo. Mi hanno chiesto se fossi disponibile ancora a donare il mio midollo, perché ti lasciano la libertà di decidere. Ero molto, molto contenta, non ho avuto dubbi, ho dato immediatamente la disponibilità». Anna così felice che era pronta a chiudere i libri, fare i bagagli e rientrare. Ha avuto il tempo, invece.
Quattro giorni dopo, appuntamento in ospedale. «Ho rifatto il controllo (mi hanno prelevato il sangue) e dopo una o due settimane mi hanno chiamata. Mi hanno confermato che ero ‘la più compatibile’. Mi hanno di nuovo chiesto se fossi disponibile ad effettuare la donazione». Anna non ci aveva affatto ripensato.
Secondo appuntamento in ospedale, «per rivalutare il mio stato di salute: un nuovo esame del sangue, l’ecocardio, l’ecografia all’addome: ho girato vari reparti». Rincasata con la certificazione sanitaria («Ero sana»), «mi sono organizzata per prepararmi alla donazione». La preparazione consiste nel fare alcune punture. «Una settimana prima, fai delle punture che servono a stimolare la produzione di midollo che viene poi trasferito nel sangue».
Finalmente, arriva il giorno della donazione. Anna resta immobile a letto per circa quattro ore, un ago in un braccio, un ago nell’altro, il sangue che passa in una macchina dove viene centrifugato.
Dolori? Nessuno. Semmai, è il tempo che sembra non passare. «Fai due chiacchiere con le infermiere, le ore te le fai passare». Il rientro a casa. Del paziente ricevente, Anna non sa nulla «per la privacy». Ma «ho sempre pensato che la mia donazione fosse andata bene. Ho sempre pensato che, comunque vada (può esserci un rigetto, ndr) hai fatto un gesto talmente tanto grande, perché i bei vuoti a scuola, all’università, la laurea (110 con lode, ndr) , i successi nel lavoro sono certamente bellissimi, ma ridimensioni. Con il mettermi a disposizione degli altri, ho fatto la cosa più importante della mia vita. Chi non ha fatto la donazione, non lo può capire».
Da allora, Anna racconta il «suo dono». «Ai miei amici dico di donare, di farlo. E tanti si sono tipizzati. Non siamo tutti uguali, magari c’è chi può avere un po’ di paura, ma quando chi l’ha fatto ti spiega bene come funziona, la paura passa. Non c’è nulla da temere». Oggi, alla Festa del Volontariato, ci sarà lo stand di Admo. «Presentatevi, tipizzatevi. Potete salvare una vita», l’accorato appello di Anna.
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