L'ANALISI
CREMONA. NELLE AULE DI GIUSTIZIA
29 Settembre 2025 - 18:05
CREMONA - Dieci anni fa, il papà avrebbe commesso abusi sessuali sulle due figlie di 9 e 11 anni. E avrebbe anche mostrato loro video e fotografie pornografici. In «plurime occasioni», si sarebbe «masturbato, talvolta insieme ad amici» davanti alle figlie. La mamma si sarebbe girata dall’altra parte: sarebbe stata zitta, non avrebbe mosso un dito per impedire l’obbrobrio e tutelare le sue bambine.
Oggi, il Tribunale ha condannato il padre a 12 anni di reclusione. E la madre a 7 anni perché «in qualità di esercente la responsabilità genitoriale nei confronti delle figlie», per i giudici avrebbe tenuto una «reiterata condotta omissiva, consistita nell’omettere qualsiasi forma di tempestivo intervento a tutela delle bimbe e di effettivo controllo a tutela, anche preventiva, delle stesse», avrebbe «impedito in concreto qualsiasi ulteriore azione di violenza e di abuso ad opera del marito».
I genitori dovranno risarcire, in solido, le figlie, parti civili con gli avvocati Maria Laura Quaini e Fabio Galli: 20mila euro (provvisionale) a ciascuna delle vittime. Quando la pena diventerà definitiva, per due anni marito e moglie non potranno avvicinarsi ai luoghi frequentati da minori. E c’è una coda alla sentenza-fendente.
Il Tribunale ha trasmesso gli atti al pm, perché si indaghi se mamma e papà abbiano commesso gli stessi reati nei confronti della terza figlia, la più piccola.
Entro 90 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza, che è arrivata dopo due richieste di archiviazione del pm e, al dibattimento, dopo la richiesta (il 23 giugno scorso) del pm di assolvere mamma e papà ‘perché il fatto non sussiste’. Perché «il capo di imputazione è ai limiti della indeterminatezza. Sicuramente, il contesto familiare non era adeguato, ma una delle bambine aveva successivamente detto: ‘Mia sorella si inventa le cose, ha detto cose non vere’».
Nel 2018, le tre sorelline erano state portate via ai genitori e collocate in una struttura.
«Giocare» e «cose brutte» sono le frasi che la minore di 9 anni aveva scritto nel suo diario. All’udienza dell’8 aprile scorso, alcuni educatori della struttura avevano raccontato le confidenze delle bambine raccolte da diversi operatori, psicoterapeuti e pedagogisti. I testimoni avevano parlato di «profonda agitazione e turbamento vissuti dalle ragazzine in occasione degli incontri protetti con i genitori».
All’inizio, agli incontri — in un luogo sicuro e alla presenza degli educatori — era stato ammesso anche il padre. «Poi venne escluso, ma veniva comunque ad accompagnare la madre e restava nei pressi».
Nel tempo, gli incontri con la mamma si erano accorciati. Le stesse telefonate erano più diluite. «Spesso, era la madre a non presentarsi». Le figlie si erano distaccate dai genitori, al punto che «durante i colloqui, le ragazze si mostravano insofferenti, volevano andarsene».
Al processo era stato raccontato che su un telefonino portato dai genitori in comunità alle figlie, gli educatori avevano trovato «delle fotografie di nudo: non era chiaro quale fosse la fonte», ma lo smartphone venne portato via alle giovani. Una educatrice aveva fatto mettere a verbale ciò che le aveva raccontato una delle bambine. E cioè che «durante una festa di Capodanno, lei si trovava sul divano, con la febbre alta. Nella confusione della festa, un amico del padre le si avvicinò, sedendosi accanto a lei e infilandole la mano sotto i pantaloni. Né il padre né la madre fecero nulla».
Dai racconti di un altro educatore, era poi emerso il dettaglio di un’applicazione di messaggistica utilizzata dal padre e che le ragazze indicavano come «la chat dei pedofili».
«Vista la minore età e la gravità degli abusi infra-familiari, parlare di una completa elaborazione dei fatti è una fantasia irrealizzabile», aveva spiegato l’esperto messo in campo dai giudici.
All’udienza del 23 giugno scorso, la responsabile della struttura aveva fatto verbalizzare. «La più grande delle sorelle mi ha raccontato che a casa sua non si trovava bene, che succedevano cose che non le piacevano». Che cosa, non lo aveva saputo direttamente dalla minore. «Me lo hanno riferito altri». Come «altre ragazzine» della struttura le avevano parlato di una confidenza raccolta dalla più piccola.
«Gli educatori hanno detto che quando andavano i genitori, c’era una situazione di grande disagio», aveva rimarcato l’avvocato Quaini. Il collega Galli, aveva ricordato che «il Tribunale per i minorenni ha collocato le ragazzine in una struttura».
«Dichiarazioni de relato», avevano arringato i difensori Federico Sartori per la madre, Massimo Tabaglio per il padre. «Il capo di imputazione parla di violenza sessuale, non risulta alcuna prova certa. Le testimonianze: assistenti sociali, educatori hanno riportato. ‘Ho sentito dire’, ‘Mi è stato detto’, ‘Non ho visto’, ‘Non ero presente’. Non c’è nemmeno un indizio, solo supposizioni», aveva sottolineato l’avvocato Tabaglio. «Nulla è stato dimostrato con certezza», aveva osservato il collega Sartori, premettendo come ci si trovasse «di fronte a un processo complesso».
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