L'ANALISI
29 Agosto 2025 - 05:25
CREMONA - Un mese per aiutare, in tutto il mondo, la comprensione della demenza, contrastando lo stigma ed offrendo sostegno alle persone colpite ed alle loro famiglie. Anche quest’anno, settembre sarà dedicato alla malattia di Alzheimer, e alle altre forme di decadimento cognitivo: secondo le stime, in Italia, a soffrirne sarebbero più di 600mila persone. Una condizione, la loro, spesso circondata da dannosi stereotipi: perdita di memoria, vagare afinalistico e una cura possibile solo con terapie farmacologiche e contenzioni. Una lettura assai lontana dalla realtà.
A raccontarlo è Roberta Barisani, referente per le attività educative presso i Nuclei Alzheimer dell’azienda speciale comunale Cremona Solidale, polo d’eccellenza locale per la presa in carico della persona con Alzheimer e dei suoi famigliari.
«Nei nostri due nuclei — spiega Barisani —, ospitiamo venti pazienti con demenza. Frequenti sono le comorbilità, a cui si affiancano i fenomeni clinici connessi alla malattia: si va dal wandering (vagare, ndr) alla sindrome del tramonto, condizione a causa della quale, al calare dl sole, i disturbi comportamentali e l’agitazione psicomotoria finiscono per acuirsi».
«Questi aspetti hanno importanti ricadute, in termini di programmazione del lavoro. Non solo — continua l’educatrice — il personale deve essere allenato, a cogliere tali variazioni: ma anche il planning settimanale diviene necessariamente flessibile, con attività 1 a 1, che richiedono maggiore concentrazione, generalmente collocate al mattino ed attività motorie nel pomeriggio».
Anche nei Nuclei Alzheimer, la vita quotidiana è però ricca di stimoli quotidiani, per contrastare il ripiegamento interiore e l’apatia. «Rispettiamo le esigenze e i desideri di ciascuno, ma l’obiettivo è creare un engagement costante. A tale scopo — prosegue Barisani —, le attività di gruppo vengono proposte in base al diverso funzionamento cognitivo: si va dai giochi di simulazione (come ‘il viaggio in montagna’, che rievoca i gesti tipici di tale vissuto), ai quiz di cultura generale; dagli esercizi di reminiscenza sino al ‘tiro a segno’».
«Anche la beauty farm, per le nostre signore, è un appuntamento molto apprezzato: piega e manicure aiutano a rafforzare la fiducia in sé, ed i massaggi alle mani con creme profumate sollecitano i sensi. E da non dimenticare, è la messa: il nostro don Antonino Censori — sottolinea Barisani — è abilissimo a coinvolgere i pazienti, creando un clima di intimità che li rassicura, e che trasmette loro un senso di serenità. Di recente introduzione, è inoltre la Doll Therapy con benefici collettivi ed individuali. Non soltanto gli utenti si aggregano per scambiarsi consigli di cura, ma il pretesto di nutrire i bambolotti è divenuto utile, in alcuni casi di inappetenza, per sollecitare il senso della fame».
Fondamentale alla stimolazione cognitiva, è anche la riattivazione di competenze apparentemente ‘sopite’: un traguardo in cui la creazione dei materiali didattici, da parte degli stessi pazienti, riveste un ruolo di primo piano.
«Reinventarsi — spiega l’educatrice — è fondamentale per scoraggiare la frustrazione e consentire alla persona con demenza di sperimentare, invece, un senso di auto-efficacia. Per questo, tutti i nostri supporti di gioco vengono confezionati manualmente: dalla ruota della fortuna all’allestimento dell’altarino per la messa, il paziente è sempre chiamato a divenire parte attiva, nel processo creativo».
Ma anche gli ambienti protesici e la vita di relazione assumono, a loro volta, un importante significato terapeutico. Rinnovati, nel 2023, dall’architetto fiorentino Gianluca Darvo, per ricreare scenari della quotidianità, gli ambienti protesici sono spazi progettati per supportare e compensare le funzionalità perdute da persone con demenza, trasformandoli in una sorta di ‘protesi esterna’ che favorisce il benessere, l’autonomia e la sicurezza dell’individuo e dei suoi caregiver, attraverso un’attenta personalizzazione, l’uso del design e la creazione di un’atmosfera residenziale e accogliente.
«Troppo spesso — osserva Barisani — , quando si parla di Alzheimer, immaginiamo individui poco reattivi, imprigionati nell’oblio e sostanzialmente disinteressati al mondo esterno, ma ci sbagliamo. In molti soggetti, il grado di consapevolezza residua è anzi importante: e la perdita delle inibizioni, spesso, lascia invece spazio alla tenerezza. Assistiamo in continuazione alla nascita, tra i nostri pazienti, di piccoli gruppi di mutuo aiuto e di significative amicizie. Questo perchè il bisogno tutto umano di stringere relazioni non si spegne. Nemmeno con la malattia».
Una presa in carico a tutto tondo, che esige un costante lavoro di equipe: frequenti sono infatti i momenti di confronto all’interno Nuclei, cui prendono parte, accanto a Barisani, operatori sanitari, infermieri e fisioterapisti, affiancati dal medico di reparto, e della psicologa.
«Oltre ai passaggi di consegne prima di ogni turno, prevediamo settimanalmente riunioni di equipe, per analizzare i casi più complessi — spiega la referente educativa — cui si accompagna, ovviamente, una presa in carico dei caregiver: un delicato compito assolto, in primo luogo, dalla nostra psicologa, ma a cui tutta l’equipe è chiamata a partecipare attivamente»
Assistere la persona con demenza comporta infatti un notevole carico emotivo, che i famigliari non devono però ritrovarsi a gestire in solitudine.
«È nostra cura fare in modo che le famiglie sappiano di poter trovare sempre un supporto nel personale, in grado di validare ed accogliere le loro emozioni — conferma Barisani —. Del resto, è fondamentale ricordare che alla persona con demenza ed ai suoi cari, pur offrendo molto, chiediamo altrettanto: un esercizio di fiducia, per potersi affidare completamente a noi».
Una fiducia che va senz’altro ripagata: ma che deve necessariamente essere, come ricordato dalla referente educativa, ‘bilaterale.’
«Non bisogna dimenticare che il confronto diretto con i professionisti, in materia di scelte terapeutiche, è irrinunciabile; ed il ricorso al dottor Google è, anzi, da evitare — conclude Barisani —: ogni più piccolo pezzo è sostanziale alla strategia di cura: l’apporto di chi intrattiene col paziente il legame di una vita si deve affiancare all’esperienza degli specialisti, con un unico obiettivo: tutelare il benessere e la dignità della persona con demenza».
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