L'ANALISI
24 Luglio 2025 - 18:21
CREMONA - La titolare di una locanda del Cremonese è stata condannata a risarcire con quasi 500mila euro la figlia e i tre nipoti di una 80enne vedova, uccisa dalla legionella nel 2022. L’anziana, casa nello stesso paese della struttura ricettiva, qui si era appoggiata durante il trasloco dai familiari, a Pisa. Nei tre giorni di pernottamento, aveva contratto l’infezione polmonare.
È finito così, in primo grado, il processo civile promosso dalla figlia, assistita dall’avvocato Alberto Gnocchi. Il giudice ha ritenuto responsabile dei danni la titolare dell’osteria con alloggi.
La sentenza è arrivata nella tarda mattinata di oggi. L’appelleranno Enrico Moggia e Luca Curatti, difensori della locandiera subentrati a un collega, quando la fase istruttoria del processo era già esaurito. Resta sulle spalle della loro assistita il maxi risarcimento ai familiari della vittima: 211mila euro alla figlia, oltre 88mila euro al nipote più giovane, 84.900 euro a ciascuno dei nipoti più grandi. La locandiera non ha avuto l’ombrello assicurativo. Il giudice ha, infatti, escluso la manleva della compagnia assicurativa e ciò in quanto nella fase iniziale della causa non era stata citata in giudizio (la compagnia non si è mai presentata).
Se la causa civile, in prima battuta, è finita così, la morte per legionella dell’anziana è materia di cui si sta occupando anche un giudice del penale. Si tratta del processo per omicidio colposo a carico della locandiera, procedimento che arriva da una richiesta di archiviazione della Procura. L’accusa è di non aver effettuato i controlli necessari per evitare o, quantomeno, contenere il rischio legionella. Caso fortuito o colpa? Lo stabilirà il giudice.
In tema di accertamento della prova, se nel penale c’è il principio dell’ ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, nel civile il criterio - più tenue - è quello del ‘più probabile che non’: è sufficiente che il giudice ritenga che il fatto oggetto della controversia si sia verificato con una ragionevole probabilità.
Il dramma. L’anziana, nata nell’ottobre del 1942, abitava nello stesso paese dove ha sede la struttura ricettiva. Rimasta vedova, la figlia, residente in Toscana, a Pisa, la voleva con sé. La famiglia si era così organizzata. Il 22 dicembre del 2021 la vendita della casa, il trasloco fra il 13 e il 15 gennaio del 2022. In quei tre giorni, per comodità, l’80enne aveva preso una camera da letto nella locanda insieme alla figlia. Completato il trasloco, il rientro a Pisa, dove alcuni giorni dopo si era sentita male. L’infezione polmonare ha un tempo di incubazione che va dai 2 ai 10 giorni circa. Ricoverata in ospedale, purtroppo l’80enne non ce l’aveva fatta e spirava il 27 gennaio. L’autopsia aveva confermato: polmonite da legionella. Proprio le persone anziane sono maggiormente a rischio, perché hanno una difesa immunitaria più bassa. Certo, la concentrazione del batterio dev’essere elevata.
Batterio infido, la legionella. Si annida nell’acqua calda stagnante, ad una temperatura generalmente compresa tra i 35 e i 45 gradi. Il contagio avviene attraverso l’inalazione di acqua contaminata sotto forma di aerosol che si può ottenere, ad esempio, quando si fa la doccia, ma anche lavandosi i denti. Tra i punti più critici ci sono, quindi, i soffioni delle docce e i rubinetti (e bagni in genere), i condizionatori d’aria e i sistemi di umidificazione dell’aria, le saune e le vasche di idromassaggio, i boiler e i serbatoi. In seguito al responso dell’esame autoptico, erano scattati gli accertamenti.
Davanti la giudice civile, l’avvocato Gnocchi ha sostenuto che la proprietaria della locanda non si era attenuta alle linee guida, al protocollo di controllo del rischio legionellosi. «Dai rilievi effettuati dall’Ats, è emersa un’altissima concentrazione del batterio - circa 450mila unità rispetto al limite di 100 — nei rubinetti della camera da letto della struttura dove l’anziana aveva pernottato in quei tre giorni con la figlia. L’Ats aveva effettuato i rilevi anche nella casa della signora: responso negativo. E negativo era stato l’accertamento effettuato anche nell’abitazione a Pisa».
«La nostra assistita - ha ribattuto l’avvocato Moggia — ha dimostrato di aver adempiuto a tutte le attività previste: ha fatto campionamenti e analisi delle acque. La disciplina normativa vigente non stabilisce delle periodicità definite entro le quali il gestore deve effettuare i controlli delle proprie acque, dello spurgo dei punti terminali ed eventuali trattamenti choc. La presenza di un batterio non può essere definita come effetto causale della custodia dell’immobile, quando quell’immobile è sempre stato curato e mantenuto in modo appropriato dalla titolare». La difesa farà appello, «perché qui non emerge l’incuria assoluta dell’immobile. Si è generato questo batterio nelle tubazioni, ma la genesi di un’ infezione è, di per sé, un fortuito. Ciò che va provato è l’indebito diffondersi del batteria all’interno della sua struttura, cosa che non è stata provata in giudizio. Noi avevamo deferito dei testimoni che potevano confermare il fatto che nel periodo prossimo e concomitante della permanenza, nulla era stato eccepito in punta di igiene. Non ci sono mai stati contagi fino a quel momento. Il batterio è stato presente, per la prima volta, proprio nella stanza occupata dalla signora». Il legale ha ricordato la risposta ricevuta dal consulente del pm nel processo in corso: «‘Non c’è un rimedio nella scienza per evitare totalmente il rischio’».
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