L'ANALISI
20 Luglio 2025 - 05:30
Lasciati alle spalle i giorni dell’esame di maturità per gli studenti, è ora tempo di esami per la scuola. Una riflessione resa necessaria non solo dal clamore esercitato dalla scelta di alcuni ragazzi, che peraltro avevano già raggiunto il punteggio minimo per la promozione, di non rispondere alle domande della commissione nella prova orale, ma per il dibattito che ne è nato. Il primo caso emerso ha riguardato uno studente di Padova il quale, avendo totalizzato 62 punti agli scritti, cioè 2 in più dello stretto indispensabile per essere promosso, si è preso il ‘lusso’ della protesta. A stretto giro di qualche ora ne sono emersi altri.
Un atteggiamento non nuovo, situazioni simili erano già state registrate in passato anche dalle nostre parti, come ci ha confermato Alberto Ferrari, dirigente scolastico del liceo Aselli: «È capitato qualche anno fa. Abbiamo assegnato un punteggio molto basso». In generale viene concesso un punto, chissà perché non un più comprensibile zero. La conferma è venuta dal provveditore Imerio Chiappa: «Non si tratta di episodi isolati e mi dispiace. Ci sono altri modi per protestare». Al pari dei dirigenti scolastici che abbiamo sentito, anche lui ha spiegato che è un errore considerare l’esame di Stato una formalità, e che la scuola non è, o non dovrebbe essere un semplice ‘votificio’, ma uno spazio di confronto, dialogo, crescita. Con l’esame finale, così carico di emozione e adrenalina, destinato a restare nel libro dei ricordi di chiunque lo abbia affrontato. Alzi la mano chi non ha mai sognato almeno una volta di doverlo ripetere. È un classico. Detto questo, se quest’anno il rifiuto a rispondere al colloquio è così clamorosamente assurto agli onori della cronaca, un motivo ci sarà. Forse il mondo della scuola deve farsi un serio esame di coscienza.
La protesta del silenzio ha lasciato abbastanza freddi gli studenti cremonesi. Che però confermano dubbi e riserve sul fatto che il sistema di valutazione italiano sia davvero in grado di dare valore alla persona, anche se riconoscono che metodi alternativi di valutazione sono difficili da individuare. «Sono deluso da chi dovrebbe guidarci, dagli adulti, e dal fatto che la scuola sia ormai diventata un luogo in cui si trasmettono solo nozioni», ha affermato Gianmaria Favaretto, del liceo Fermi di Padova, il primo caso diventato di dominio pubblico. Gli fanno eco dal coordinamento nazionale della Rete degli Studenti Medi: «La scuola del merito è un sistema che ci schiaccia, che riduce le nostre vite a un numero, a un voto. Come hanno giustamente sottolineato i ragazzi, i voti non possono e non devono rappresentare il valore di una persona. La scuola che vogliamo è un luogo di crescita, di benessere psicologico, di sviluppo del pensiero critico, non una gara tossica alla performance dove chi resta indietro viene colpevolizzato e umiliato». E ancora: «Impariamo nozioni a memoria, la scuola non ci dà la possibilità di esprimere un pensiero critico». Grosso modo, questo il ragionamento di tutti i ragazzi che hanno partecipato alla ‘congiura’ del silenzio.
In poche ore dall’esplosione del caso è arrivata la dura risposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: d’ora in poi verrà bocciato chi vuole boicottare l’esame di Stato facendo scena muta all’orale. Insomma, chiusura a ogni tipo di dialogo e tolleranza zero. Siamo sicuri che sia l’atteggiamento più adeguato? In una via mediana si colloca lo psichiatra Paolo Crepet, attento osservatore del mondo giovanile e dei problemi dell’educazione. In un’intervista al Messaggero si domanda perché «in tanti anni di scuola si è chiesta solo alla fine perché nessuno l’abbia mai ascoltata e capita». Lo ha detto riferendosi al caso di una studentessa di Belluno, secondo lui andata «proprio fuori tempo massimo. Protestare adesso, quando stai uscendo dal sistema scolastico, che senso ha? Non serve a niente. Non è di aiuto per nessuno». Secondo lui avrebbe dovuto parlare prima: «Anche perché in fondo sulle motivazioni ha anche ragione: avrebbe potuto stanare i suoi docenti e chiedere: dove vi siete nascosti?».
Secondo Crepet «devono abituarsi ai voti che ti dà la vita. Esiste ancora il non classificato? Potrebbe capitare anche quello, e non sarebbe una tragedia. Impariamo ad accettare la valutazione e quando perdiamo andiamo avanti. Così si impara: nella vita bisogna saper fare le cose, qualunque lavoro si faccia. E quando si vuole protestare bisogna trovare qualcuno che ascolti». Però, ammette «è vero che la scuola non capisce i ragazzi: il sistema non si è mai adeguato a questa necessità. Nessuno in classe domanda a questi giovani come stanno. Non esiste lo spazio o il momento giusto per farlo: non è proprio previsto. Con chi dovrebbero parlare questi ragazzi? Non hanno nessuno con cui farlo. Né a scuola né in famiglia. Su questo abbiamo fallito. Ma la ragazza se l’è presa con l’unica cosa con cui non doveva prendersela».
Un problema c’è, e dovrebbe essere affrontato insieme, mettendo al tavolo tutte le componenti della scuola, studenti compresi. Con i diktat si rischia solo di peggiorare la situazione, generando conflitti. Un problema c’è dal momento che ci sono stati studenti arrivati ad assegnare a Hitler il Premio Nobel per la Pace o a definire «estetista» Gabriele D’Annunzio, o un professore di arte che, parlando del Futurismo, ha affermato che il movimento è nato nel 1919, anziché nel 1909 (arrivando perfino a litigare con il collega che ha cercato di correggerlo) o commissari di inglese che hanno accreditato a Charles Dickens il romanzo ‘The picture of Dorian Gray’, che però è di Oscar Wilde. Tutte cose sentite in corso d’opera di colloqui e prontamente registrate dal sito skuola.net. Ci sono stati molti episodi assai gustosi, come quello del prof di latino che fa domande sulla materia senza rendersi conto che nella classe che sta interrogando non c’era traccia di quella disciplina.
È l’intero sistema che rischia di affondare e sul quale è necessaria una riflessione. La conferma viene dal rapporto Invalsi 2025 appena pubblicato dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione. Tra gli aspetti positivi messi in evidenza sicuramente il calo percentuale della dispersione scolastica, che si stima nel 2025 all’8,3 per cento, al di sotto del traguardo ipotizzato dall’Unione Europea per il 2030 del 9% e al di sotto anche degli obiettivi Pnrr del 10,2%. Se diminuisce la dispersione esplicita, aumenta quella implicita, ovvero il rapporto mette in risalto come sia aumentato il numero degli studenti che frequentano la scuola ma hanno livelli di competenze molto bassi, specialmente nella comprensione dei testi e nelle conoscenze della matematica e dell’inglese. In generale viene evidenziato un calo delle eccellenze.
Più ascolto e maggiore qualità dell’insegnamento chiedono gli studenti, alcuni dei quali come si è visto sono arrivati a forme di protesta estreme. Che non possono essere ignorate o messe a tacere limitandosi a minacciare bocciature. Coraggio e sfrontatezza a quei ragazzi non mancano; d’altronde, se certe cose non si fanno a 19 anni, non si faranno mai più.
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