L'ANALISI
CREMONA. NELLE AULE DI GIUSTIZIA
30 Maggio 2025 - 19:42
CREMONA - Quella che era iniziata come una storia d'amore durata un decennio si è trasformata in un incubo per Francesca (nome di fantasia, ndr), costretta a denunciare per stalking il suo ex fidanzato Luca in due occasioni diverse. Per la prima denuncia, riferita al periodo in cui la relazione era ancora in corso, l’uomo è già stato condannato per stalking.
Ma oggi si è tornati in aula per accertare la dinamica dei fatti per un periodo successivo, dopo il luglio 2020, nel quale l’ormai ex fidanzato avrebbe continuato a perseguitare Francesca.
A testimoniare davanti al giudice sono stati la madre, l’ex datore di lavoro e la collega di Francesca che hanno raccontato degli appostamenti e delle frequenti visite al bar dell’ex fidanzato: «Veniva spesso – ha raccontato la donna che lavorava nello stesso bar della vittima – a volte anche in più occasioni nella stessa giornata. Si sedeva a un tavolo davanti al bancone e la fissava, cercava di avvicinarla, la fermava quando passava. Lei era molto turbata, la loro relazione era già finita e non voleva averci a che fare quindi chiedeva a me di prendere la sua ordinazione».
Ma più volte era capitato che la donna si presentasse al lavoro con le braccia piene di lividi «come se l’avesse strattonata con violenza». Di una di queste aggressioni ha raccontato anche il titolare del locale: «Più volte avevo visto l’ex fidanzato di Francesca seduto nel locale, o defilato dietro una siepe appena fuori. Ma in quelle occasioni non era mai stato violento. Una volta però ho visto che, alla chiusura, una macchina è partita seguendo quella di Francesca che stava rincasando». Tutto lo staff era al corrente della complicata situazione tra i due. «Ho capito che era lui, li ho seguiti e poco dopo ho trovato le due auto ferme in una piazzetta, con gli sportelli lasciati aperti. Loro due erano poco distanti, lui la stava strattonando per spingerla in un vicolo». A quel punto il datore di lavoro della donna si è avvicinato in auto, ha acceso gli abbaglianti e ha urlato all’uomo di andarsene, avendo avvisato nel frattempo le forze dell’ordine.
Ma i pedinamenti non sarebbero stati soltanto sul luogo di lavoro: «Lo vedevamo passare – ha raccontato la madre della donna – più volte al giorno sotto casa nostra, per un paio di ore girava nel circondario, passava a piedi, in macchina, in furgone». E poi c’erano le telefonate: «Era un continuo – ha continuato la madre – chiamava lei, chiamava il mio numero di cellulare, abbiamo dovuto anche staccare il telefono fisso perché continuava a tartassarci». Una situazione di costante stress per cui «mia figlia era molto spaventata: ci ha chiesto di accompagnarla e di andarla a prendere ogni giorno al lavoro per paura di rimanere da sola per strada e essere avvicinata da lui». Al punto che per un periodo la donna «non voleva più uscire di casa». E tra i reati contestati in questo caso, oltre agli atti persecutori, ci sono anche percosse e minacce. Queste ultime erano rivolte anche alla madre, cui l’uomo imputava la rottura. Le minacce non si sono limitate a Francesca: anche la madre è diventata bersaglio dell'uomo, che la riteneva responsabile della rottura. La donna ha ricevuto una lettera anonima (ma chiaramente riconducibile) piena di insulti che recitava: «Credo in una giustizia divina... Dio terrà conto del male che lei ha fatto», si leggeva nel messaggio.
Poi la prima sentenza, di condanna, e il divieto di avvicinamento. «Da quando è scattato il provvedimento di allontanamento, la situazione è migliorata, lo si vedeva più di rado». Ma l’ossessione dell’uomo non si sarebbe sopita del tutto: «Ha violato più volte il divieto di avvicinamento» e per questo dovrà affrontare un nuovo, il terzo, processo a gennaio. Nel frattempo la prossima udienza del processo, in cui sarà sentito l’imputato, è fissato il 31 ottobre.
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