L'ANALISI
25 Maggio 2025 - 05:15
CASTELVETRO PIACENTINO - Il racconto parte con il rumore degli spari e con le immagini degli omicidi che, a cavallo degli anni ‘90 e 2000, hanno sconvolto l’Emilia-Romagna e la Lombardia. Ci vorranno lunghe indagini avviate fra la Bassa Piacentina e Cremona, ma soprattutto ci vorrà un processo con 220 imputati, per dare una spiegazione a quelle morti e concludere la più grande inchiesta di sempre contro l’infiltrazione della ‘ndrangheta al Nord: ora è racchiusa anche in un docufilm, andato in onda venerdì sera in prima visione su Rai 2.
Nell’introduzione di ‘Aemilia 220 – La mafia sulle rive del Po’ (sceneggiatura di Claudio Canepari e Giuseppe Ghinami, disponibile su Rai Play) i giornalisti Paolo Bonacini e Giovanni Tizian iniziano parlando proprio dei numerosi fatti di sangue apparentemente inspiegabili. Prima di ‘Aemilia’, però, a portare alla luce la presenza delle cosche calabresi specialmente nel mondo dell’edilizia era stata l’indagine ‘Grande Drago’, a Monticelli d’Ongina. E infatti il documentario prosegue con le immagini del borgo: «Partiamo da un piccolo comando dei carabinieri e da un paesino sulle rive del Po», commenta Bonacini. Nella scena successiva entra in gioco il colonnello Andrea Leo, all’epoca comandante della compagnia di Fiorenzuola d’Arda: «Pensavo di essere arrivato in un contesto tranquillo, non mi aspettavo di trovare una situazione del genere».
La situazione trovata è presto spiegata: calabresi provenienti da Cutro che fra Monticelli e Castelvetro Piacentino trafficano droga ed estorcono denaro. Mentre in video scorrono le immagini dei ritrovi nei locali castelvetresi (scene riprodotte con attori) l’ufficiale dell’Arma spiega che tra il 2010 e il 2011 sono iniziate attività di osservazione su questi personaggi, in particolare in un bar di via Martiri Duchi e Molinari. É lì che il 26 marzo 2011 viene notato un personaggio mai visto prima: «Ci ha colpito il fatto che tutti sono andati a riceverlo, ad accoglierlo, come si fa con un capo» spiega nel docufilm il capitano Camillo Calì, oggi a Cremona e all’epoca comandante del Nor di Fiorenzuola. Quell’uomo era Romolo Villirillo, ben presto rivelatosi personaggio chiave.
«Passava le sue giornate al telefono – spiega, sempre nel film, un carabiniere della compagnia di Fiorenzuola che si è occupato della complessa fase delle intercettazioni –. Ne aveva tre e da ognuno faceva circa 300 chiamate al giorno». In una delle telefonate trasmesse (reali) Villirillo conferma il suo ruolo apicale: «In qualità di quello che sono – dice ad un uomo che gli avrebbe mancato di rispetto –, vengo a Cremona e ti aggiorno». Con regolarità ogni settimana si spostava da Cutro all’Emilia, raggiungendo Castelvetro, Parma, Reggio e appunto Cremona. E portando con sé pacchi di documenti. Talvolta però usava buste senza accompagnatore messe su bus di linea: scena riprodotta nel film tramite le riprese alla stazione dei pullman di Cremona.
La svolta all’indagine alla fine del maggio 2011, quando seguendo Villirillo e Antonio Gualtieri i carabinieri di Fiorenzuola arrivano fino a Roma. «Stiamo andando ad incontrare il papa», dicono al telefono. Ma in realtà raggiungono il policlinico Gemelli dove entrano nella stanza di Nicolino Grande Aracri, boss indiscusso di Cutro, ergastolano all’epoca a piede libero per un vizio giudiziario, arrivato al potere dopo una guerra di mafia con più di 100 morti fra cui il boss storico Antonio Dragone, ucciso proprio dai ‘soldati’ di Grande Aracri. Con questo summit in ospedale il quadro tratteggiato dagli investigatori è ormai chiaro: Villirillo è l’uomo che investe al Nord i soldi della cosca calabrese. Ma proprio quando il suo ruolo diventa certo, l’indagine subisce una battuta d’arresto perché lo stesso Villirillo viene arrestato per altri reati dai carabinieri di Crotone. Osservazioni e intercettazioni però proseguono, spostandosi su Gualtieri: la sua auto viene imbottita di ‘cimici’ e così, quando il 9 agosto a salire a bordo è Grande Aracri, i carabinieri di Fiorenzuola ascoltano tutto.
Il documentario racconta quindi come l’indagine si è allargata fino a Reggio Emilia, racconta delle minacce intercettate e indirizzate anche ai giornalisti, racconta il coinvolgimento della politica. Fino alla notte degli arresti, il 28 gennaio 2015. Poi il maxi processo e le condanne, ormai definitive.
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