L'ANALISI
OTTANT'ANNI DALLA LIBERAZIONE
25 Aprile 2025 - 13:55
CASALMAGGIORE - A Casalmaggiore il 25 Aprile è stato vissuto come una ricorrenza sentita e densa di significati, nel solco di una memoria viva, condivisa e mai retorica. Ottant’anni dalla Liberazione, celebrati con la consapevolezza che il passare del tempo impone non solo di ricordare, ma anche di interrogarsi su quanto quella data parli ancora all’oggi.
La giornata si è aperta alle 9.30 con il raduno delle autorità, delle rappresentanze combattentistiche e d’arma e dei cittadini davanti alla “Casa del Mutilato”, in via Nino Bixio. Dopo la partenza del corteo, la cerimonia è proseguita con la Santa Messa in San Francesco alle ore 10, seguita, alle 11, dalla commemorazione dei caduti della Resistenza presso la corte della Fondazione “Conte Busi”. Alle 11.15 il corteo si è spostato in via Favagrossa per la sosta al monumento della Resistenza. Dopo un momento davanti al “Monumento d’Europa” in via Saffi, la cerimonia è culminata in piazza Garibaldi, con l’intervento del sindaco Filippo Bongiovanni, delle associazioni partigiane e studentesche, e della cittadinanza raccolta attorno al tricolore.
Dal palco, il sindaco ha tenuto un discorso intenso, intrecciando la memoria storica con uno sguardo sulle fragilità e le sfide del presente. «Festeggiamo gli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla caduta del fascismo – ha detto – un giorno in cui ha trionfato la democrazia e la pace. Ma è un 25 Aprile diverso: le bandiere a mezz’asta ricordano i cinque giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco. Anche oggi, anche il nostro gonfalone è a lutto». Nel suo intervento, il primo cittadino ha messo al centro i giovani: «C’è qui una folta rappresentanza del Polo Romani. Ra
gazzi che si affacciano alla vita adulta in un mondo pieno di incertezze. Non possiamo garantire che vivranno in un mondo migliore, ma possiamo e dobbiamo fare di tutto per costruirlo con loro. E’ lampante che queste nuove generazioni vanno accompagnate, ma abbiamo il grosso timore, per la velocità degli eventi che si succedono, di non riuscirci. Il campanello d’allarme è che forse viviamo in un mondo in cui è difficile trovare un senso.
“L’umanità è stanca” ha detto non molto tempo fa l’arcivescovo di Milano monsignor Delpini, facendo riferimento al fatto che tutti vorrebbero essere felici, ma che si confonde la felicità con la soddisfazione personale e quindi molti vivono di pretese. Si alzano la mattina già stanchi perché pensano alle situazioni di stress che avranno nel corso della giornata e si chiedono il perché lo debbano fare. Questo genera individualismo, solitudine, fragilità di legami, sindrome di burn out. E frustrazione, che ricade sui loro figli, che nella maggior parte dei casi sono bravissimi ragazzi, ma soffrono perchè non trovano un posto nel mondo, non sanno cosa saranno in futuro e in qualche modo devono urlare alla società che esistono. Purtroppo in alcuni casi questo ingenera fenomeni di reazione, di violenza, di vandalismi, di angoscia, di far qualcosa per essere contro e non pro. Lo sappiamo distruggere è facile, veloce, magari al momento anche divertente, costruire è difficile, lento, non ti sembra di vedere il risultato finale e quindi ti fai domande. Certo poi chi è un delinquente, ci sono forze dell’ordine e tribunale dei minori, ma non aspettiamo la giustizia minorile, per togliere la mela marcia dal cesto buono! Quello che dobbiamo pensare di portare avanti, tutti, a partire dagli amministratori, famiglie, insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, tutti coloro che hanno un ruolo educativo, sono le solide basi che abbiamo ricevuto dai nostri avi, dobbiamo essere un tangibile e autorevole riferimento”.
Vibrante e appassionato anche l’intervento del capogruppo degli Alpini Vincenzo De Salvo, che ha voluto sottolineare l’impegno delle penne nere nella lotta di liberazione e in tutte le missioni umanitarie successive: «L’amore per la libertà, la pace, la solidarietà e la fratellanza sono valori che ci ispirano da 106 anni. Gli alpini non dimenticano e non dimenticheranno mai. Le penne nere furono infatti in gran numero tra i protagonisti della lotta contro l’oppressione nazifascista, soprattutto nella fase che venne combattuta in montagna. Oggi, assieme a tutti i caduti per la libertà, ricordiamo anche il beato Teresio Olivelli, giovane ufficiale alpino in Russia prima e partigiano una volta tornato in patria, che affrontò il supremo sacrificio nei lager nazisti”.
A portare la voce delle nuove generazioni è stata Linda Luviè, studentessa del Polo Romani, che ha offerto un intervento lucido: «La Liberazione è stata conquistata dai partigiani con il sangue e con grandi dolori, perché noi potessimo essere liberi. Liberi da un sistema che si basa sul procurare distruzione, paura, miseria, povertà, esclusione e morte. Il fascismo è infatti codardia e indifferenza. È la morte di tutte le idee e della cultura. È l’annientamento dei diritti e dell’umanità stessa delle persone. Come disse Umberto Eco, il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è smascherarlo e puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo”.
Ha concluso la mattinata Giancarlo Roseghini, presidente dell’ANPI di Casalmaggiore, che ha ripercorso la storia locale della Resistenza, citando i nomi dei partigiani caduti e di chi organizzò la lotta fin dai primi mesi dopo l’8 settembre. Un intervento colto e profondo, ricco di riferimenti letterari e storici, che ha invitato a riflettere sull’uso delle parole, sulla custodia della memoria e sulla responsabilità di trasmetterla. Giancarlo Roseghini ha aperto il suo intervento ricordando i caduti della Resistenza casalasca – da Formis a Martelli, da Favagrossa ad Avini, fino a Regina Ramponi, figura chiave dell’organizzazione partigiana locale – sottolineando come la lotta per la Liberazione non sia cominciata il 25 aprile, ma molto prima, subito dopo l’8 settembre 1943. Ha citato con emozione anche altri combattenti come Cerati, Vida, Rossi, e Fortunati, richiamando l’importanza della memoria storica e del linguaggio con cui viene trasmessa.
Ha riflettuto sul significato del concetto di “patria”, evocando Manzoni e il valore della libertà come bene da non piegare a usi strumentali. Ha ammonito contro il rischio di ridurre la memoria della Resistenza a un “paradigma vittimista”, rivendicando la necessità di distinguere tra le vittime e i carnefici, e tra scelte consapevoli e contesti imposti dalla storia. Ha ricordato in particolare la dignità degli Internati Militari Italiani, che scelsero la prigionia nei lager nazisti piuttosto che collaborare con la Repubblica Sociale Italiana.
Nel finale ha richiamato il messaggio di Don Primo Mazzolari – “ci impegniamo” – come eredità viva e attuale della Resistenza: un invito a costruire, a prendersi responsabilità senza delegare, per rendere il mondo migliore. Ha concluso citando Aurelio Magni e salutando i tanti partigiani e testimoni scomparsi: «Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva la Repubblica Italiana, viva il 25 Aprile».
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