L'ANALISI
08 Aprile 2025 - 05:05
CREMONA - Di professione fa il barbiere, ma ha una gran voglia, fra forbici e pettini, di ascoltare le storie della gente, aiutare gli altri a trovare il coraggio di raccontarsi. Dopotutto, i barbieri sono stati sempre un po’ i confessori dei loro clienti, un po’ come dei sacerdoti laici. Oggi il rapporto può passare dalla barberia ai canali social e conquistare, così, i giovanissimi.
È Raffaele Di Donato, in arte Fefé il Barbiere del Blocco, ha 29 anni, è nato a Caserta ed ha sempre voluto aiutare gli altri, per questo, quando non lavora nel salone da barbiere a Cologno Monzese, va in strada per mettere al servizio di chi incontra il suo mestiere. Ha un seguito di 1 milione di follower su TikTok e 535mila follower su Instagram, Sfera Ebbasta e Artie 5ive sono tra le teste famose di cui si è occupato.
Ieri mattina Fefé era all’Aselli, invitato dai rappresentanti di istituto per il monteore degli studenti. L’obiettivo: conoscere dal vivo il mestiere di tiktoker. Il sogno di Fefè è quello di aprire una catena di saloni. La voglia di chiacchierare con chi si affida alla sua arte di barbiere è un modo per lasciarsi alle spalle l’isolamento dei tempi della scuola, una condizione che Fefé è convinto possa essere vinta con la volontà di raccontarsi. «Che cos’è il bullismo per voi?», «Qual è il vostro sogno?», «Che valore date ai soldi?». Cappellino rosso, anelli al dito, macchinetta per tagliare i capelli, «non basta fare i numeri, per fare i soldi», afferma. La platea di studenti è silenziosa, ascolta, a turno rispondono alle domande del barbiere tiktoker.
Nel primo turno il format di Fefè funziona: lui fa domande ai ragazzi, il taglio dei capelli passa in secondo piano, si parla di bullismo, della volontà di trovare una propria strada. Tutto ciò viene detto con un linguaggio spesso al grado zero, sincopato, cadenzato da applausi e dall’intercalare ‘ragaa’. Eppure funziona, i ragazzi stanno al gioco. Qualche professore storce il naso, ma ad andare in scena è il disvelamento dei meccanismi della comunicazione, è la forza dei social che attirano, che seducono, ma ad un certo punto si ritrovano a fare i conti con la realtà vera che spiazza i loro ‘sacerdoti’.
Se nella prima parte della mattinata il gioco del barbiere confessore ha funzionato con una decina di volontari che si sono raccontati, nella seconda parte, almeno all’inizio, il gioco si capovolge. Ciò finisce con lo spiazzare Fefè che poi ritrova il bandolo e si racconta: racconta dell’ammirazione per lo zio che fa il barbiere, del suo apprendistato su piazza, dell’idea di trasformare l’intimità della barberia in una sorta di piazza pubblica, di quei silenzi a scuola che ha riempito a colpi di domande a chi si fida della sua arte di barbiere.
Ciò che è andato in scena all’Aselli è la forza della comunicazione, pur nella sua debolezza. Gli studenti hanno potuto confrontare Fefé di Instagram con quello dal vivo, ma anche rendersi conto della fatica di una comunicazione che va oltre i minuti di intervista o di video. Il rito dei selfie, alla fine, mette d’accordo tutti. Un giovanissimo bidello dell’Aselli che, conterraneo di Fefé, lo chiama: «Ehi fra’ ci sta una foto. Anche io faccio il bidello come tua mamma». E scatta l’abbraccio fraterno.
Il preside, Alberto Ferrari, commenta così: «Ci è parso giusto accogliere la proposta dei ragazzi. Noi adulti rischiamo spesso di guardare dall’alto al basso fenomeni che coinvolgono i nostri studenti e che spesso non conosciamo direttamente —. ha spiegato —. La possibilità di un confronto diretto ci ha permesso di entrare in un mondo che coinvolge i pre-adolescenti e che fatichiamo a conoscere. È stata un’occasione, perfettibile nel suo svolgimento, ma un’occasione che, come educatori, dobbiamo saper leggere e di cui dobbiamo far tesoro».
Don Claudio Anselmi, che ha aiutato i ragazzi nell’empasse della mattinata, afferma: «Gli obiettivi sono stati raggiunti, i ragazzi hanno potuto vedere anche come un certo fare spigliato da video nella realtà trovi una sua fallibilità. Credo abbiano avuto modo di conoscere la fragilità di un mondo in cui tutto appare così facile, ma che in realtà non lo è».
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