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LE STORIE DI GIGIO

Il maestro del pettine da 67 anni in attività

Enzo Ruggeri, 81enne, è il decano dei barbieri cremonesi. Ha cominciato a Ossolaro: «Sono andato in pensione una trentina di anni fa, ma una cosa è certa: non mi sono ancora fermato»

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

07 Aprile 2025 - 05:25

Il maestro del pettine da 67 anni in attività

CREMONA - È il terzo che bussa, ma la porta di vetro in via Dante resta chiusa. C’è l'intervista. Per un giorno forbici, rasoi e spazzole rimangono riposti ai piedi dello specchio davanti alle poltrone girevoli. È dalla vetta di 67 anni di attività, un record o quasi, e alla faccia degli 81 di età che Enzo Ruggeri, uno dei decani dei barbieri cremonesi, maneggia con abilità e passione gli arnesi del mestiere. «Sono andato in pensione una trentina di anni fa, non lo ricordo con esattezza. Una cosa è certa: non mi sono ancora fermato».

Questo maestro del pettine è uno dei tanti eroi della generazione del dopoguerra che, provenendo da umili origini, si sono rimboccati le maniche per riuscire ad attraversare tempi difficili. «Ho perso mio padre, Giulio, che ero bambino. Mia madre, Costantina, si arrangiava. E io che ero nel mezzo tra le mie due sorelle, Rosa e Giuseppina, sono stato praticamente costretto a seguire questa strada per dare una mano in casa».

Enzo Ruggeri con il figlio Fabiano


Ha cominciato ad Ossolaro, dov’è nato, osservando da vicino il parrucchiere del paese in azione. Ma il vero apprendistato è iniziato a Cremona e ha una data precisa, quella riportata sul libretto di lavoro: 16 dicembre 1958. Un documento che Ruggeri custodisce gelosamente in una cartelletta blu insieme con vecchie fotografie sulla sua carriera e ritagli di giornali dedicati alle sue sforbiciate. «In città ci venivo sempre in bicicletta, con la corriera quando pioveva, peccato però che gli orari del pullman non coincidessero con i miei. Il primo negozio è stato in piazza San Paolo. Eravamo il titolare, Ernesto Marciò, chissà da quanto tempo è morto, e io, il garzone».

Da lì in poi una girandola di posti. «Per la precisione, quattro. L’ultimo nel 1973 alle dipendenze di Fulvio Soana, in via Robolotti. Ho imparato molto da lui e da suo fratello, Luigi. Una volta noi giovani eravamo ricercati, andavamo dove ci veniva promesso un compenso maggiore che in genere si aggirava intorno alle 5.000 lire. Allora non c’erano tante mode, ma un taglio solo, sempre quello. Non entrava mai nessuno dicendo come invece succede oggi: voglio i capelli in questo modo o quest’altro». La professione era, forse, più semplice per le acconciature, ma più difficile con le barbe. «Non c’era il rasoio con le lamette, bisognava stare molto attenti. No, per fortuna, non ho mai fatto sanguinare gole».


Una svolta importante nel 1978. «Avevo 34 anni. A porta Venezia c’era un parrucchiere anziano. Con un mio collega, Enrico Zanoni, gli siamo subentrati. In seguito siamo rimasti io e mio figlio, Fabiano, che allora aveva 16 anni e oggi 49». Ma il vero balzo è stato il 9 dicembre 1995 quando i due si sono spostati, seppur di pochi metri, in via Dante. «Qui prima c’era un fiorista, abbiamo comprato e ristrutturato il locale». Da tempo Ruggeri senior non ha più i baffi con i quali è invece ritratto nelle istantanee sul suo impegno, di cui va orgoglioso, nello staff della sezione cittadina dell’Accademia nazionale acconciature maschili (Anam), che aveva la sede in piazza Marconi, nell’ex Palazzo dell’Arte.

Il coiffeur si è sempre tenuto aggiornato e ha insegnato ai più giovani i suoi segreti. Ha partecipato a vari campionati ottenendo ottimi piazzamenti culminati in un primo posto. «Esponevo in negozio le coppe vinte, ma ora non è più il caso. Ricordo un giorno a Milano: il Palazzetto dello Sport stracolmo di centinaia di concorrenti. Ognuno di noi aveva uno specchio e 50 minuti per pettinare il proprio modello, ne portavamo uno di bella presenza per impressionare la giuria. Ci volevano un paio di mesi per prepararlo, due sedute alla settimana. Anche se veniva rimborsato, non era semplice trovare quello giusto». Un cronista dell’epoca ha raccolto le parole di uno sfidante sul lavoro che cambiava: «Non è più tempo del colpo di forbice e via. Oggi occorre conoscere le tinte, le malattie del cuoio capelluto, sapere trattare il cliente e, cosa principale, seguire le mode».


Sotto le mani dell’esperto artigiano sono passate generazioni di cremonesi. Esigenti, «come quel tale che quando entra gli manderei un accidente», e accomodanti; spassosi, «tipo il fornaio di via Brescia che ci ha lasciato», o riservati e silenziosi. Ma ce n’è uno che il loro parrucchiere non potrà mai dimenticare. Ne parla ancora con un filo di commozione.

«Flaviano Quarantini, di Castelvetro Piacentino, pioniere del commercio all’ingrosso di carni. Veniva da me ogni giorno, domeniche e lunedì compresi, per la barba e lo shampoo: alle 5 del mattino a casa mia, quando doveva recarsi a Milano per i suoi affari, e alle 8 in bottega il resto della settimana. Mi aveva seguito da quand’ero in via Robolotti. Desiderava essere sempre in ordine, inappuntabile. Si è presentato anche quella volta, alla fine della scorso novembre. Ho fatto quello che dovevo fare, abbiamo preso un caffè al bar di fronte ed è rincasato. Mezz’ora dopo mi ha chiamato la figlia: Enzo, papà è morto. Si era seduto in poltrona, e lì è rimasto. Non volevo crederci, mi sono cambiato subito per andare da lui. Lo conoscevo così bene che potevo servirlo a occhi chiusi».

Ad occhi chiusi potrebbe acconciare anche gli altri clienti. «Specialmente per i giovani c’è una sola tendenza, quella dei calciatori rapati a zero con un gran ciuffo che scende sul naso». Dietro le sue vetrine si discute di tutto, sport (principalmente) e meteo, traffico e vacanze. «Ma non di politica». Tranne qualche eccezione. «E allora — sorride — divento un po’ ruffiano: se il cliente è di destra, lo sono anch’io; se di sinistra, idem». Tra un trasformismo e l’altro, ha un rammarico: «Sono sempre meno i ragazzi italiani interessati a questa attività».


Per lui l’essere barbiere è una questione di famiglia, doppiamente: per via del figlio, che ne ha raccolto il testimone, ma anche della consorte, Marilena, 76 anni. «Faceva la parrucchiera, le mie sorelle andavano da lei e ci siamo conosciuti così. Sino a quando il fisico mi sorregge, continuo. Non mi ci vedo a stare in casa, anche mia moglie non mi vuole tra i piedi». Lui taglia i capelli al figlio (e pure alla sua signora), il figlio a lui. «Anche la barba? No, quella no. Giù le mani».

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