L'ANALISI
30 Marzo 2025 - 05:00
Prendiamo come esempio l’assedio di Crema delle truppe guidate da Federico Barbarossa (luglio 1159-gennaio 1160). Un fatto storico importante che coinvolse anche Cremona, allora alleata dell’imperatore tedesco. Un conto è leggere e sentire raccontare dal pur bravo insegnante quanto accadde, un altro è ‘vedere’ le truppe all’attacco e assistere alla disperata quanto vana difesa degli assediati, con la città saccheggiata e rasa al suolo. E ancora, è corretto sentirsi raccontare sui banchi a scuola che «Antonio Stradivari è stato un liutaio italiano. È stato un costruttore di strumenti a corde di straordinaria fattura come violini, viole, violoncelli, chitarre, arpe; in quest’ambito è universalmente riconosciuto come uno dei migliori di tutti i tempi», ma ben altro è ‘entrare’ nella sua bottega, osservarne la perizia mentre realizza uno dei suoi capolavori.
Andando a sintesi: che differenza c’è tra studiare ed essere immersi con tutti i sensi nella materia oggetto di lezione? Spesso è la distanza tra un concetto parcheggiato nella memoria che diventa sempre più labile fino a correre il rischio di scomparire fatalmente con il tempo e la capacità di trasformare l’apprendimento da passivo in attivo, destinato a restare impresso a lungo termine. Non è uno scenario distopico, ma il presente.
Intelligenza artificiale e realtà aumentata sono entità concrete, in piena evoluzione certo, ma già presenti, innovazioni in rapida evoluzione sempre più rilevanti nel mondo dello studio e del lavoro. Due facce della stessa medaglia: il progresso scientifico e tecnologico. Familiarizzare con esso a scuola prepara gli studenti per le carriere del futuro. E bene fanno i ragazzi a invocarla come materia di studio.
Otto studenti su dieci vorrebbero infatti che l’IA fosse introdotta come una competenza curricolare da sviluppare durante le lezioni. È l’inequivocabile conclusione dell’edizione 2025 della ricerca ‘Dopo il diploma’, condotta da Skuola.net e Elis su un campione di 2.500 alunni delle scuole superiori. La dinamica restituita dalle risposte dei ragazzi della Generazione Z è probabilmente figlia di «un uso sempre maggiore — per uno su due è ‘molto frequente’ – delle varie IA generative come scorciatoia per risolvere problemi e realizzare elaborati», come si legge a commento del sondaggio. Solo in 16 su cento dichiarano di non utilizzarla, mentre fortissima è la sensazione di non avere una formazione adeguata, a dimostrazione che i giovani si avvicinano, positivamente viene da dire, a questo nuovo mondo in maniera critica.
Anche gli studenti cremonesi che abbiamo intervistato lo confermano: «L’intelligenza artificiale — ha commentato il 18enne Alessandro Rossetti — è una grande scoperta tecnologica con effetti disruptive, cioè capaci di cambiare il quadro di riferimento in ambito medico, scientifico, tecnologico e industriale. Sono però anche fermamente convinto che possa trasformarsi in una minaccia: il rischio che dobbiamo evitare è quello di barattare la nostra mente con l’IA».
Cioè, promossa, ma solo a patto che aiuti a sviluppare competenze e nuove abilità senza rinunciare al pensiero critico. È dunque fondamentale che gli studenti non solo imparino a utilizzare queste tecnologie, ma anche a comprenderne le implicazioni etiche e sociali. Un equilibrio difficile da raggiungere.
La realtà aumentata applicata all’IA può rendere l’apprendimento più coinvolgente e interattivo. Gli studenti hanno la possibilità di visualizzare concetti complessi in modo pratico, migliorando la comprensione. Il rischio è che affidarsi eccessivamente all’IA nel campo della formazione porti a una riduzione delle interazioni tra studenti e insegnanti e a una minore opportunità di apprendimento pratico. Liberando gli esseri umani da attività appartenenti a livelli di pensiero di ordine inferiore, secondo gli esperti questa nuova generazione di strumenti di intelligenza artificiale può però avere profonde implicazioni nella comprensione di intelligenza umana e apprendimento. Sono però necessari un approccio molto attento e un utilizzo appropriato. Di sicuro è sbagliato rifiutare a priori le nuove opportunità offerte alla didattica, così come al resto delle azioni umane.
Allargando il discorso, stiamo assistendo a episodi di moderno luddismo, cioè di rifiuto dell’innovazione per paura dei suoi possibili effetti negativi, contro i nuovi sistemi di comunicazione di massa. I social, per esempio. Assumendo come necessaria premessa che il loro uso deve essere regolato e che sono indispensabili strumenti sempre più puntuali di controllo e verifica delle regole basiche della convivenza civile e del rispetto dell’altro, pare un grave errore la censura per paura che in alcune occasioni viene messa in atto.
In Albania il caso più recente. Il governo ha sospeso per un anno a partire dal 13 marzo l’accesso a TikTok, piattaforma di video sharing cinese, dopo che un 14enne venne ucciso a coltellate a Tirana da un suo coetaneo, a pochi passi dalla scuola, a seguito di una lite iniziata sui social. Secondo il governo, la piattaforma ha facilitato episodi di cyberbullismo, diffusione di contenuti violenti e persino l’organizzazione di scontri tra bande giovanili. Un paradosso. Sarebbe come dire che tutte le autostrade devono essere chiuse perché ci sono automobilisti che le scambiano per circuiti di Formula Uno e non rispettando le regole causano incidenti mortali. Tra l’altro è stato accertato che la vittima non aveva neppure un profilo su quel social, quindi si deve presumere che la decisione del governo albanese sia dettata dal desiderio di silenziare l’opposizione, particolarmente attiva sui social, una censura politica più che morale. Esattamente come avviene in moltissimi altri casi.
I social network sono quindi le prime vittime sacrificali proprio per la loro natura di piazza virtuale e di luogo di dibattito senza confini, dove diffondere informazione e conoscenza. Certo, sono anche luoghi di odio e di leoni da tastiera, di violenza verbale. Occasioni di isolamento sociale per chi ne abusa in termini di tempo. Ma attenzione a non scambiare la causa con l’effetto. Cominciando con l’educazione al loro uso.
Per dirla con una battuta, da TikTok tornare a toc toc, cioè bussare educatamente in casa d’altri e tornare a vedersi in faccia quando si ha qualcosa da comunicare.
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