L'ANALISI
23 Marzo 2025 - 05:25
Quasi mezzogiorno di venerdì, parcheggio Villa Glori a Cremona. Davanti alla cassa ci sono due donne. La prima mostra il tagliando al lettore automatico. Compare la cifra da pagare: mezzo euro. Infila nella gettoniera una moneta da due, che viene risputata fuori. «L’avrà ‘letta’ male», si dice quasi scusandosi con un sussurro, prima di ritentare l’operazione. La moneta è di nuovo respinta, lei si gira. «Sono i soli spiccioli che ho», dice sconsolata con la timidezza e lo sguardo onesto della persona che teme di essere giudicata per averci provato con un soldo tarocco. «Come faccio?».
L’altra donna, appena più giovane di lei, apre il borsello e le porge sorridendo una moneta da cinquanta centesimi. Pagamento regolare. «Come faccio a restituirgliele?», chiede non senza un piccolo imbarazzo la prima. «Non si preoccupi, va bene così», replica amabile la seconda. Si scambiano il saluto di buona giornata ed entrambe tornano alle loro faccende. Un gesto di ordinaria gentilezza, che in tempi come questi di ordinaria maleducazione diventa straordinaria. Per gentilezza si intende un’azione benevola nei confronti del prossimo senza ottenere nulla in cambio. Un atto di umanità emana calore, sorrisi e vicinanza fisica. Una ricerca della Ohio State University, pubblicata su The Journal of Positive Psychology, osserva che compiere anche un solo atto di gentilezza, di tenerezza, può aiutare non solo chi lo riceve ma anche chi lo pratica in quanto gesto dal potere terapeutico. Essere gentili o prendere lezioni di gentilezza ci aiuta a mettere da parte il menefreghismo dilagante. Costa poco: come abbiamo visto, è in ‘vendita’ anche al prezzo di soli cinquanta centesimi.
«Non dobbiamo avere paura della bontà e neanche della tenerezza»: è stata la provocazione che papa Francesco ha lanciato fin dal discorso di inizio pontificato, invitando a considerare la forza sovversiva di ciò che ai più appare debole e vulnerabile. Al giorno d’oggi addirittura rivoluzionaria, si potrebbe affermare. Esopo sosteneva che «nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato».
La filosofa cremonese Isabella Guanzini, docente di Teologia fondamentale all’Università austriaca di Graz, lo spiega bene: «La rivoluzione gioiosa della tenerezza destabilizza e disarticola il monolitismo compatto del potere, dove i soggetti languiscono in una tristezza inattiva, per far circolare la potenza aggregante degli incontri e dei contatti fra i corpi. Si tratta di un progetto che resiste e reagisce a ogni regime di oppressione, di paura e di separazione, nell’intenzione di produrre una socialità gioiosa in cui la vita chiama la vita, in un lavoro infinito di costruzione del comune. Tale processo rappresenta una mutazione radicale di codici e di priorità all’interno della dialettica comunitaria, capace di seguire il richiamo degli affetti e la contemplazione delle relazioni elementari».
Nel suo saggio ‘Tenerezza: la rivoluzione del potere gentile’ la indica come un contro-potere che sa guardare e toccare con gentilezza i tratti più vulnerabili e indifesi dell’umano. «È infatti possibile considerare la tenerezza come categoria filosofica significativa non in quanto esperienza di un vago sentimento di vicinanza e di empatia, ma in quanto percezione elementare della finità, ossia della fragilità e caducità di tutte le cose».
In un mondo sempre più frenetico e competitivo, molti si chiedono se la gentilezza sia ancora un valore premiante o se sia diventata un lusso che non possiamo più permetterci dal momento che competizione e cinismo sono i valori dominanti e si è perennemente alla ricerca della gratificazione istantanea. Denaro e potere, i miti da coltivare, spesso attraverso la prevaricazione. Forme assai diffuse di aggressività si manifestano nella vita privata così come nelle relazioni sociali. Una violenza silenziosa e spesso impunita, fatta di maltrattamenti fisici, privazioni, brutalità anche sessuali, umiliazioni, forme di autoritarismo.
Una ferocia che, come ci insegnano anche le nostre cronache quotidiane, può svilupparsi tra le mura domestiche così come nella scuola, nella politica, nello sport, nei luoghi di lavoro, nelle comunità, nelle carceri, provocando gravi danni alla personalità con ripercussioni negative sull’intera società. Proviamo a pensare ai danni sui figli causati da un genitore che reagisce con prepotenza di fronte al minimo contrattempo, una attesa troppo lunga alla cassa di un supermercato, una ripartenza lenta al semaforo o altri episodi di ordinaria normalità. Ansia e frustrazione portano a comportamenti prepotenti anche nelle piccole cose.
Essere gentili con gli altri ci rende più felici. Tra l’altro, più ricerche universitarie convergono nell’indicare chiaramente come le persone appagate siano più produttive al lavoro di quelle infelici. E invece, la società contemporanea ha un volto sempre più aggressivo e colmo di negatività. Guanzini risponde così alla domanda se sarà la tenerezza, oltre alla bellezza, a salvare il mondo. «Potrebbe apparire ingenuo o persino patetico pensare che l’eroe di questa impresa, che possiede la forza necessaria per contrastare ogni durezza, sia la tenerezza. Eppure, un gesto di tenerezza ci ha messi al mondo e un gesto di tenerezza ci ha tenuti in vita, perciò si può anche pensare che solo grazie a gesti di tenerezza la vita possa sprigionare la sua vera potenza: rigenerare gli umani e dare vita alle cose. Se infatti nella lingua della tenerezza originaria veniamo al mondo, soltanto grazie alla lingua della tenerezza ordinaria possiamo continuare ad abitarlo e a generarlo in modo umano e grazie alla lingua della tenerezza ordinaria possiamo continuare ad abitarlo e a generarlo in modo umano». Magari cominciando a investire cinquanta centesimi.
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