L'ANALISI
16 Marzo 2025 - 05:30
La vita di tutti i giorni non è quella che si consuma alla consolle davanti, per esempio, a ‘DOOM: The Dark Ages’, videogioco sparatutto con fiumi di sangue e pallottole. Qualcuno lo deve pur dire agli odiatori da tastiera che nei giorni scorsi hanno minacciato di morte un sindaco del Cremasco coprendolo di insulti e deridendolo con pesanti allusioni alla sua condizione fisica. A tutti va anche spiegato che, una volta spento il videogioco, si può cercare di tornare alla vita di tutti i giorni, mentre la persona oggetto di odio social viene ferita per davvero. E la violenza verbale può essere devastante quanto quella fisica: ogni parola colpisce come un pugno, annientando e annichilendo chi la subisce.
Gli psicologi lo assicurano: tutti gli episodi di violenza verbale lasciano nelle vittime cicatrici profonde, minandone ulteriormente identità, dignità e valore personale. Quanto accaduto a quel primo cittadino è solo l’ennesimo episodio dell’escalation di violenza che caratterizza i nostri sciagurati tempi.
Nella stessa pagina di giornale in cui abbiamo dato conto di quelle minacce e di quelle offese, ci è toccato raccontare un altro fatto che documenta la deriva morale alla quale dobbiamo assistere. Il titolo dice già tutto: ‘L’auto è in divieto, insulti alla comandante della polizia locale’. Ovviamente l’ingiuriatore è correttamente finito a processo per oltraggio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Due brutte notizie di un giorno, purtroppo, come tanti. E non è che il nostro territorio stia peggio di altri.
Le cronache locali e nazionali sono piene di fatti come questi, che afferiscono a ogni aspetto della vita quotidiana. Ha fatto molto scalpore, perché datato 8 marzo, Giornata internazionale della donna, quanto accaduto in provincia di Treviso. Protagonista negativa la mamma di una giocatrice di basket di serie D. «Vai a fare la prostituta», ha urlato alla giovane direttrice di gara. La ragazza, colpita al cuore, si è fermata e, portandosi le mani al volto, ha iniziato a piangere. Sull’episodio è intervenuto anche il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: «Se un giovane arbitro donna viene fatta bersaglio di insulti sessisti da parte di un’altra donna — ha detto —, significa che dobbiamo prendere atto con sconcerto che ci sono situazioni nelle quali non esiste più nemmeno la vergogna. Si vergogni invece chi ha proferito quelle offese e sia orgogliosa di sé stessa la giovane arbitra, alla quale va tutta la mia solidarietà».
Parole sante, che dovrebbero raggiungere chiunque pensa di risolvere ogni questione buttandola sul violento e sull’offensivo. Come quei sedicenti politici locali che si sono permessi di attaccare il sindaco di cui si diceva all’inizio.
La retorica della violenza e dell’offesa personale in politica dilaga a ogni livello: il nuovo presidente degli Stati Uniti ne è il campione, tanto che tra le regole auree del suo comportamento c’è proprio quella della devastazione dell’avversario. Ma se Donald Trump ha conquistato la Casa Bianca a furor di popolo, è anche perché il mondo intero va proprio in quella direzione.
Ben riassume lo scenario padre Giuseppe Riggio, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali e consulente ecclesiastico nazionale dell’Ucsi, l’Associazione dei giornalisti cattolici: «Il radicarsi di una polarizzazione estrema del dibattito politico e sociale genera una conflittualità sempre più esasperata tra le parti in gioco (siano i partiti o i rappresentanti di categorie), scontri in cui le barriere ideologiche, talora funzionali alla protezione di interessi di parte, rendono impossibile qualsiasi forma di dialogo».
Proprio qui sta uno dei problemi della nostra società. Non si dialoga più nemmeno col vicino di casa, i ragazzi comunicano attraverso le chat dei loro telefonini trasportando nel virtuale tutto ciò che invece dovrebbe essere reale. E nel mondo virtuale — lo si può constatare ogni giorno — tutto è lecito: non ci sono barriere morali e nessuna educazione al rispetto.
Vanno dunque recuperati quei codici di comportamento che esaltano le regole di una convivenza civile. Diversamente, senza questo ‘freno’, dovremo abituarci a registrare episodi come quello di Milano, in cui una ronda ‘anti maranza’ (tutti incappucciati, questi ‘coraggiosi’ giustizieri della notte) ha picchiato selvaggiamente e a freddo un ragazzo ‘colpevole’ solo di essere di colore. «La violenza si combatte con la violenza» è l’urlo farneticante a commento dell’immancabile video dell’impresa postato sui social.
Ecco dove può portare l’abitudine alla violenza in politica: da verbale, diventa sempre più fisica. Un’attitudine che viene da lontano, se già nel 1994 Norberto Bobbio, massimo teorico del diritto e il più importante filosofo italiano della politica della seconda metà del Novecento, appariva sconcertato e sconfortato per un clima di pesanti conflitti e arroganze di fronte al quale invitava a vergognarsi per poter prendere coscienza di sé e delle proprie azioni, appropriandosi di una grande virtù alla quale ha dedicato il suo saggio più amato: ‘Elogio della mitezza’. Una lezione di grandissima attualità, che ogni persona impegnata in politica dovrebbe leggere o rileggere per non rassegnarsi al peggio.
Elogiare oggi la mitezza può apparire un inutile esercizio di stile e di retorica. Non è così. Nelle parole di Bobbio questo atteggiamento non porta a rassegnazione o arrendevolezza ma, come scrive Pietro Polito nell’introduzione al libretto ristampato nel 2014 in occasione dei dieci anni dalla scomparsa del filosofo, è la strada anti-eroica per rimettere insieme chi non si rassegna alla barbarie del nostro tempo. Continuando a credere che la politica e lo stare insieme debbano fondarsi su valori attuali da secoli: la gratuità e il disinteresse, la solidarietà e la semplicità.
Lo dicevano i latini: multo quam ferrum lingua atrocior ferit, la lingua ferisce molto più della spada. Qualcuno, per cortesia, può farlo sapere agli odiatori del sindaco cremasco che, dopo essere stato nel loro mirino, ora ha perfino paura a uscire di casa?
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