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CREMONA. ESTORSIONE

«Ricatti? No, ho vinto alla schedina»

Accusato dall’ex amico di oratorio si difende: «Lui mi doveva 700 euro della scommessa»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

19 Febbraio 2025 - 21:47

«Ricatti? No, ho vinto alla schedina»

CREMONA - Ad oggi Giuseppe non sa spiegarsi perché Mario, l’amico cresciuto con lui in oratorio, il San Francesco allo Zaist, l’amico vittima anche di bulletti, quello che «io ho sempre difeso, stavo sempre dalla sua parte», lo abbia trascinato davanti al giudice. È accusato di avergli estorto 20mila euro - dalla fine del 2019 a luglio del 2022 - sotto la minaccia di mettere in giro voci sul suo conto. I 20mila euro sono la somma degli «anomali prelievi» scoperti dal papà di Mario, passando al setaccio gli estratti conto del figlio. Ma ieri Giuseppe, 29 anni, straniero nato in Italia, un lavoro e una moglie, ha negato estorsione e ricatti all’amico di un anno più grande. Semmai, «era lui che doveva darmi 700 euro, ma ad oggi non me li ha dati per una vincita alla schedina».

Dopo la verità di Mario, parte civile con l’avvocato Vito Alberto Spampinato, ieri Giuseppe ha raccontato la sua verità, difeso dall’avvocato Massimo Tabaglio.

Il processo restituisce uno spaccato della vita di quartiere. E della compagnia di amici, «un gruppo unico», cinque, sei ragazzi, Mario e Giuseppe i due soli maggiorenni, all’epoca dei fatti. Le giornate passate in oratorio, dove Giuseppe lo conoscono tutti. «Tengo ad avere buoni rapporti con tutti per non avere casini, ho una influenza». Giuseppe era quello che in oratorio riportava ordine dove c’era disordine. Il parroco, all’epoca don Matteo, chiamava lui «per far da tramite anche quando venivano i ragazzi non dell’oratorio. Ero il tramite del prete per non fare casino». Mario in passato era stato preso di mira da un gruppo di 4-5 bulli dell’oratorio. Giuseppe lo difendeva. Il sacerdote lo ha già raccontato al processo. «L’oratorio era frequentato da molti ragazzi stranieri, gli atteggiamenti erano sempre prevaricanti». E poiché Giuseppe «aveva il ruolo di capo, gli ho chiesto di diventare il tramite tra me e il gruppo, un ruolo di mediatore. Lui aveva una forte ascendenza sui ragazzi, veniva ascoltato e da lì la vita in oratorio è migliorata».

Una vita in oratorio, tra partite di calcetto «dalle 18 alle 19 o dalle 19 alle 20», scommesse sul calcio e schedine giocate. «Di giocate ce ne sono state tante», ha spiegato Giuseppe. Ci mettevano 10, 20, 30 euro al massimo, i ragazzi del «gruppo unico». Mario era quello che raccoglieva le giocate per tutti. I minorenni non potevano andare al Punto scommesse vicino al quartiere. E nemmeno Giuseppe, perché suo padre, che lì andava a giocare, non voleva che scommettesse e se lo lo avesse beccato, non l’avrebbe presa bene. Nei suoi 29 anni di vita, ai suoi genitori (ieri in aula con sua moglie, ndr) Giuseppe non ha mai dato un dispiacere. «Mai una denuncia. I rapporti con i miei genitori sono fantastici».

Toccava sempre a Mario raccogliere le scommesse e andare a giocare le schedine. «Con una schedina da 30 euro, io ne ho vinti 1.200 - ha proseguito Giuseppe —. Il periodo? In primavera all’incirca. L’anno? Dopo il Covid. Il giorno dopo mi sono visto con lui. Mi ha detto: ‘La schedina non l’ho giocata’. Il sospetto che si fosse tenuto i soldi l’ho avuto. Però, poteva restituirmi i 30 euro. Abbiamo parlato come due amici. L’ho chiusa lì, concordando che almeno mi desse una parte: 700 euro. Sono soldi che mi spettavano di diritto, perché avevo vinto. E a me quei soldi servivano per cose mie, ancora non lavoravo». Ma Mario «i soldi non li aveva, mi ha detto che in quel momento aveva debiti, mi diceva di aspettare. Non è che tutte le volte che lo vedevo, glieli chiedessi. Non sono quella persona che si mette ad obbligare. So che si è comprato un’auto nuova, che ha fatto dei lavori nel bagno di casa».

Risultano moltissime telefonate di Giuseppe a Mario. «Perché lo chiamava così tante volte, se vi vedevate in oratorio?», ha rilanciato il giudice. «Quasi tutti i giorni organizzavamo le partite di calcetto, il campo andava prenotato dal prete. Quando arrivavamo a 7-8 giocatori, lo chiamavo: ‘Hai voglia di giocare a calcetto?’». Perché «lui faceva parte della nostra compagnia, poi si è staccato. Anch’io poi mi sono staccato dal gruppo Mi sono sposato, lavoro. Però anche oggi ci si vede in oratorio».

Il giudice ha di nuovo rilanciato: «Come si spiega che il ragazzo sia venuto qui a dire quelle cose? Siete ancora amici?». «Non c’è più quell’amicizia di prima». Mario e Giuseppe torneranno in aula il 26 marzo prossimo, giorno della sentenza.

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