L'ANALISI
18 Febbraio 2025 - 22:34
Il tribunale di Cremona
CREMONA - Cittadinanza egiziana, in Italia da più di vent’anni, quando, nel 2023, ha fatto domanda per la casa popolare, è risultata prima in graduatoria. Ma l’Aler, applicando la normativa italiana, l’ha cancellata con «un provvedimento discriminatorio». Così per il giudice, che ha ordinato all’Aler di reinserire la donna straniera in graduatoria. La prima sentenza in Italia sull’accesso agli alloggi pubblici degli immigrati — pubblicata dall’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) — porta la firma del giudice Daniele Moro. Ed è «una sentenza di notevole rilevanza — annota l’Asgi — perché, per la prima volta, accerta il carattere discriminatorio dell’articolo 40, comma 6, del Testo Unico Immigrazione», articolo incorporato nel Regolamento della Regione Lombardia del 2017.
«Le disposizioni normative nazionali — annota il giudice — devono essere disapplicate, poiché, limitando il diritto di accesso dei titolari di un permesso di soggiorno annuale per attesa occupazione alle prestazioni di assistenza abitativa, discriminano tali individui per motivi di nazionalità, violando l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’articolo 12 della direttiva 2011/98/ Ue», direttiva a cui l’Italia non ha derogato.
Nel motivare la sentenza (11 pagine), il giudice ha accolto le argomentazioni dell’avvocato Alberto Guariso (nella foto) di Milano, legale della donna egiziana arrivata in Italia nel 2002 per ricongiungersi con il padre, lui in Italia dal 1998. Qui ha frequentato le scuole dell’obbligo, ha preso il diploma di terza media, si è poi sposata con un connazionale (in Italia dal 2020), ha avuto tre figli, ha lavorato con i permessi fin dal 2019.
A giugno del 2023, ha presentato domanda per la casa popolare, ma in quel momento era senza lavoro e titolare di un permesso di soggiorno per attesa occupazione della durata di un anno. Questo è il punto. L’Aler l’ha cancellata dalla graduatoria, in forza dell’articolo 7 del Regolamento della Regione Lombardia che ha incorporato l’articolo 40, comma 6, del Testo Unico Immigrazione. Articolo, quest’ultimo, che «prevede la parità di trattamento con i cittadini italiani nell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica esclusivamente per ‘gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo’».
Secondo l’avvocato Guariso, «la norma delinea un trattamento differenziato per le persone titolari di permessi di ‘breve periodo’. Così, mentre un italiano disoccupato può accedere alle case popolari, una persona straniera con permesso di breve periodo può accedervi soltanto se ha un lavoro».
Il giudice Moro ha stabilito che le due norme italiane sono contrarie al diritto dell’Unione europea. Richiama l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e l’articolo 12 della direttiva 2011/98/Ue. In particolare, «l’articolo 12, paragrafo 1 della direttiva Ue», stabilisce che «le persone titolari di permesso unico lavoro, tra cui figura anche il permesso per attesa occupazione, ‘beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne l’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all’erogazione degli stessi, incluse le procedure per l’ottenimento di un alloggio’».
Il giudice richiama «il diritto alla parità di trattamento» che «costituisce un principio generale dell’ordinamento europeo, derogabile dai singoli Stati membri, nelle ipotesi tassativamente previste, attraverso una manifestazione di volontà derogatoria». Ma «la Repubblica Italiana non si è avvalsa della facoltà di deroga». E, quindi, «la disciplina nazionale non è conforme agli obiettivi dell’Ue, è irrazionale e discrimina per motivi di nazionalità».
Prosegue il giudice: «Invero, applicando la normativa nazionale, il soggetto straniero divenuto disoccupato appena prima della scadenza del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato e appena prima della data di presentazione della domanda di prestazioni di assistenza abitativa, non potrebbe beneficiare delle prestazioni assistenziali, giacché verosimilmente divenuto titolare di un permesso di soggiorno per attesa occupazione».
Al contrario, «il soggetto straniero divenuto disoccupato appena dopo la scadenza del permesso di soggiorno e appena dopo la presentazione della domanda, potrebbe beneficiare delle prestazioni assistenziali giacché titolare di un idoneo permesso di soggiorno alla data di presentazione della domanda». Quindi, «la differente possibilità è priva di razionale giustificazione», perché «la normativa nazionale collega l’attribuzione di un fondamentale bene della vita ad eventi accidentali quali la data di scadenza del permesso di soggiorno e il termine della presentazione della domanda». Ma anche perché «non rispetta il diritto di matrice europea all’assistenza abitativa, finalizzato a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti». Ed ancora, perché «limita la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana». E perché «legittima una discriminazione arbitraria che impedisce una efficace integrazione dei cittadini stranieri».
E, in conclusione, perché «non compie un corretto bilanciamento tra lo stato di bisogno degli individui, ragionevolmente maggiore in chi ha appena perso il posto di lavoro, e la natura assistenziale della prestazione che persegue proprio lo scopo di fronteggiare tale stato di bisogno».
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