L'ANALISI
12 Febbraio 2025 - 05:05
CREMONA - Sarà in edicola da dopodomani e per almeno un mese, in abbinata facoltativa al quotidiano La Provincia di Cremona e Crema, al costo aggiuntivo di 1 euro, la quinta edizione di ‘Cremona Top 500 Imprese’: il rapporto annuale realizzato da La Provincia in collaborazione con Confindustria Cremona, l’importante contributo del Credito Padano e il Cersi.
«Top 500 per noi è ormai una tradizione», spiega il presidente di Assoindustriali, Stefano Allegri. «Quest’anno il lancio della pubblicazione è anche occasione per dare il via ad una importante celebrazione: gli 80 anni della nostra Associazione Industriali. Il 2025 sarà infatti interamente dedicato a questo anniversario e fortemente focalizzato sulle nostre aziende, il vero cuore pulsante. Partiamo proprio da Top 500 Imprese. Un’analisi approfondita degli aspetti economici, una fotografia dello stato di salute dell’economia cremonese attraverso l’analisi dei bilanci delle principali aziende della provincia. Con questo lavoro, tra l’altro molto apprezzato dai nostri associati, cerchiamo di fornire spunti che, quest’anno ancor di più, riflettono un’imprenditoria viva, che dà lavoro, esporta, innova e scommette, nonostante le incertezze, sul futuro».
I dati dei bilanci depositati permettono di fare anche riflessioni sul futuro. Quale sentore avete?
«La manifattura italiana è in calo costante da ormai troppi trimestri, e oggi siamo ai minimi storici in termini di contribuzione alla creazione del Pil; in 10 anni hanno chiuso il 10% delle attività di produzione, con un’evidente e preoccupante accelerazione. Le motivazioni sono molteplici, anche se la causa principale è legata al costo dell’energia, una ‘materia prima’ che fino a qualche anno fa era considerata una semplice commodity di cui non serviva preoccuparsi, e che ora si è invece trasformata nel principale pericolo per la sopravvivenza industriale nel nostro Paese. Oggi il pezzo medio all’ingrosso dell’elettricità in Italia supera i 140 €/MWh, con un aumento del 44% rispetto allo scorso anno. Ci sono poi altri fattori critici estremamente preoccupanti e purtroppo anch’essi, così come sta succedendo per l’energia, legati alle scelte ideologiche ed irrazionali che stanno alla base del progetto di Green Deal europeo. Cito per tutti il tema dell’ETS (Emissions Trading System) che impone a noi europei, già in difficoltà per il prezzo dell’energia, anche di pagarci sopra una tassa».
Come valuta le strategie adottate dai Paesi extraeuropei, con particolare riferimento alle scelte di Usa e Cina?
«All’improvviso si scopre che la più grande economia del mondo, quella americana (28 trilioni di dollari e +3.4% di crescita), può definire unilateralmente regole e assetti economici fino a qualche mese fa imponderabili. Si scopre un nuovo imperialismo che lascia pensare che i Paesi del blocco occidentale, anziché essere salvaguardia di un progetto di pace nel mondo, possano invece pensare di ampliare i propri confini geografici sganciandosi da qualsiasi progetto comune, partendo dall’accordo internazionale di Kyoto per contrastare i cambiamenti climatici. Indipendentemente dal giudizio che ognuno di noi può dare, i fatti sono questi e l’Europa (18 trilioni di dollari +1% di crescita) oggi è il grande assente, senza alcuna visione strategica in termini di politica estera, di difesa o energetica. Ed ecco che a seguito della politica industriale che ha reso estremamente difficile produrre in Europa entra in gioco l’altra grande economia, quella cinese (18.80 trilioni di dollari +5% di crescita) che si avvantaggia della possibilità di produrre senza regole e si afferma come nuova fabbrica del mondo. In tutto questo i dazi sono poca cosa, sono solo un efficace strumento operativo frutto di una visione, così come il dumping commerciale cinese; il vero problema, quello che ci ostiniamo a non vedere, è che manca un progetto di politica estera europeo».
Guardando all’UE, quali problematiche riscontrate?
«L’elemento alla base di tutte le problematiche europee è che si è perso di vista il grande progetto di visione degli Stati Uniti d’Europa. Siamo divisi su tutto, è sufficiente osservare il prezzo dell’elettricità: in Italia paghiamo il 48% in più della Spagna ed il 40% in più della Germania. A questo aggiungiamo politiche industriali protezionistiche anziché immaginare modelli di sviluppo condivisi. La speranza che le cose possano migliorare però c’è: oggi, nonostante tutto, l’Italia ha indicatori migliori rispetto ad altre economie, come quella tedesca e francese, e questo ci pone in una luce diversa. Dal punto di vista industriale, gli altri Paesi hanno percepito la nostra capacità di reagire ed hanno iniziato ad appoggiare le nostre istanze in Europa, in particolare quelle legate ad una revisione imponente del Green Deal, che nell’attuale impostazione rischia di creare un danno irreversibile all’economia».
Avviciniamoci al territorio. Quali le priorità e le questioni più significative in questo momento?
«Mi focalizzo sulla provincia di Cremona con una valutazione che va al di là dell’andamento economico. La percezione è purtroppo quella di un territorio che fatica nel raggiungere i propri risultati principalmente per una storica ed inspiegabile divisione. I soggetti e gli interlocutori che dovrebbero parlare, fare sintesi, pianificare, decidere e portare avanti le cose, dovrebbero essere anche in grado di avere una visione d’insieme del territorio e darle concretezza. Si continua invece a vedere una lontananza tra le tre aree e tra istituzioni che dovrebbero invece collaborare, cosa che penalizza una capacità programmatoria e di visione. Questo nonostante ci sia un bel segnale di collaborazione e disponibilità del mondo associativo. Come associazioni di categoria, infatti, abbiamo dato vita ad un percorso unitario, per togliere gli spigoli legati agli interessi di parte e puntare sulle azioni che ci avvicinano e accomunano. L’auspicio è sempre quello del dialogo e del confronto, anche tra pubblico e privato; perché il lavoro è tanto e i capitoli aperti di cui parlare sono molteplici. Qualche esempio? Posso citare la questione dei cluster, dell’attrazione dei giovani sul nostro territorio, delle infrastrutture, della necessità di massimizzare la visibilità del territorio come area dove investire e fare sviluppo... Il tempo dei campanilismi non ha più ragion d’essere in un mondo che guarda alle grandi competizioni».
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