L'ANALISI
08 Gennaio 2025 - 21:13
CREMONA - Martedì 27 aprile del 2021, terza ondata pandemica, primo pomeriggio. Al Pronto soccorso dell’ospedale Maggiore, in un ambulatorio in attesa della visita del medico, c’è nonna Rina, 86 anni, affetta da un grave ipovisus. Quel giorno ha avuto le vertigini. Al Pronto soccorso arriva in ambulanza alle 14 in codice verde. E per sette ore rimane sulla barella con spondine «parziali». Poi, alle 20.50 si sente «un tonfo». L’anziana viene trovata a terra. Nella caduta dalla barella ha battuto la faccia e la testa con violenza. Il neurochirurgo la opera, poi nonna Rina viene trasferita in Terapia intensiva: morirà 17 giorni dopo, il 13 maggio.
«Avrei voluto vederla tornare», dice la figlia Patrizia, 63 anni, «infermiera da una vita», per oltre 20 nel reparto di Neurologia del Maggiore. Patrizia si è costituita parte civile con l’avvocato Luca Curatti, nel processo per omicidio colposo della sua mamma nei confronti dell’infermiera del triage che prese in carico nonna Rina e del medico dalle 20 in servizio al Pronto soccorso, rispettivamente difesi dagli avvocati Diego Munafò e Isabella Cantalupo. L’Asst è stata chiamata come responsabile civile, assistita dall’avvocato Francesco Meloni di Torino. Una premessa. Un magistrato si è già occupato del caso: si tratta del gup, che aveva disposto il ‘non luogo a procedere’ per i due imputati. Ma la Procura aveva impugnato la sentenza, poi ‘cancellata’ dalla Corte d’appello di Brescia con rinvio a giudizio di infermiera e medico davanti al Tribunale per approfondire. Oggi il processo.
Ore 9,20. La figlia ripercorre quel drammatico martedì. La madre, donna minuta (48 chilogrammi di peso) e senza particolari patologie, di notte aveva avuto improvvisamente le vertigini. «Mia madre è sempre stata serena e lucida. Era come se fosse la mia ‘segretaria’: mi ricordava gli appuntamenti, le scadenze. L’ho mandata in ospedale che era sana e avrei voluto vederla tornare». Viene chiamata l’ambulanza. L’emergenza pandemica impedisce a Patrizia di poter accompagnare la madre al Pronto soccorso. Verso le 16,30, lei riceve la telefonata di una Oss. «Mi ha chiesto di ricaricare il telefonino di mia madre, perché voleva parlarmi. L’ho chiamata. Mi ha detto che non l’avevano ancora visitata, voleva venire via. ‘Mamma, pazienta, vedrai’. Alle 21, la seconda telefonata. Stavolta, è il medico del Pronto soccorso. «Mi ha detto che la mamma era caduta e mi ha passato il medico di Neurochirurgia per l’autorizzazione all’intervento chirurgico, perché dalla Tac era risultato un ematoma grave». L’intervento va bene. Durante i 17 giorni di ricovero in Terapia intensiva, «sono stati molto cortesi, mi telefonavano, mi davano notizie, però mi hanno detto che non c’erano speranze».
Il 27 aprile di quattro anni fa si va verso la fine della terza ondata pandemica. Al Pronto soccorso ci sono due accessi: uno per i pazienti Covid poi sistemati in un ambulatorio, uno per i pazienti ‘puliti’ messi in altri due ambulatori ‘open’. «Era un Pronto soccorso ‘meno popolato’ del solito, ma con il 40% di codici gialli. Meno pazienti, ma più complessi», spiega la primaria Francesca Maria Cò. «Per via del Covid, i tempi di attesa e di ricovero erano superiori alle 6 ore», precisa il coordinatore infermieristico.
Nonna Rina viene presa in carico dall’infermiera del triage che le assegna il codice verde. E fino alla visita del medico, lei è responsabile della paziente. L’ottantaseienne viene portata nella sala dei ‘barellati’. «Andavo spesso da lei e la tranquillizzavo. Era agitata, perché non vedeva sua figlia. In quel periodo i parenti non potevano entrare. L’avevo seguita tutto il pomeriggio nei limiti del possibile, perché c’era gente», spiega la Oss. Alle 19,37, l’infermiera fa una valutazione e modifica il codice: da verde a giallo «per un incremento di vertigini». Secondo l’accusa e l’avvocato di parte civile, l’infermiera avrebbe dovuto rivalutare l’anziana dopo 15-20 minuti. «E aveva il dovere di chiamare il medico».
L’infermiera smontava alle 20, ma al suo coordinatore chiede di prolungare il turno di un’ora «per dare una mano». E sempre alle 20 c’è il passaggio di consegne tra la dottoressa del turno 14-20 e il dottore a processo, in servizio dalle 20 alle 8 del mattino. «Non è previsto un giro di ricognizione dei pazienti da parte del medico. È un atteggiamento assolutamente virtuoso, ma in realtà non sono tenuti», precisa la primaria. Il medico lo fa quel giro. Alle 20.50 «un tonfo». «Ci sono rimasta malissimo, sono quelle cose che non ti aspetti. Le spondine erano alzate», fa verbalizzare la Oss. Dal carteggio, risulta che con nonna Rina, nell’ambulatorio c’erano altri quattro-cinque pazienti anziani tutti in codice giallo «e alcuni entrati dopo la signora». Secondo l’avvocato Curatti, al momento del passaggio delle consegne l’anziana «se la sono dimenticata». Il 28 maggio saranno sentiti i consulenti tecnici.
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