L'ANALISI
08 Gennaio 2025 - 18:38
CREMONA - Risale alle ultime settimane dello scorso anno, ma è stato reso noto solo oggi tramite un comunicato dell’associazione Luca Coscioni il quinto caso di suicidio assistito in Italia. Si è verificato in Veneto, ed ha riguardato una donna di 72 anni, affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva da 20 anni, a seguito dell’autosomministrazione di un farmaco letale fornito - insieme alla strumentazione necessaria - dal Servizio sanitaria nazionale e quindi dall’Azienda sanitaria di riferimento. Azienda che, tuttavia, non ha individuato i medici che su base volontaria assistessero la donna nella procedura di autosomministrazione.
«Allora me ne sono occupato io», conferma l’anestesista cremonese Mario Riccio, consigliere dell’Associazione Luca Coscioni che nel 2006 aveva tra l’altro assistito Piergiorgio Welby.
«Considero un dovere morale del medico ascoltare e rendere possibile la richiesta del malato che non si sente più in grado di sostenere una situazione divenuta intollerabile», sottolinea Riccio. «Del resto, determinate situazioni si verificano a fronte di malattie che porterebbero alla morte in tempi relativamente brevi, e che la medicina finisce di fatto per cronicizzare senza ovviamente poterle sconfiggere. Ma ad un certo punto di tali dolorosissime esperienze, il malato può ritenere di non voler andare avanti».
Come è infatti accaduto per Vittoria (nome di fantasia attribuito alla 72enne), che aveva avviato l’iter per arrivare al suicidio assistito 8 mesi prima, e nel suo ultimo messaggio aveva ricordato: «Amo la vita, ma da troppo tempo la mia non è più davvero vita. La malattia mi ha fatta prigioniera dentro un corpo che mi rende dipendente dagli altri in tutto. Anche per grattarmi il naso. Di notte, in sogno, io camminavo ancora. Ho sempre amato camminare. Ora sono troppo stanca per risvegliarmi ogni mattina e trovarmi bloccata dentro un corpo che non riconosco più e che è diventata una tortura continua. Ho bisogno di liberarmene e avere finalmente pace».
«Una condizione nella quale si trovano molte persone in Italia, dove ancora non c’è una legge in materia», ricorda Riccio. «Nei Paesi che hanno invece legiferato in proposito (penso al Canada ed all’Olanda, ma non solo) i dati disponibili certificano che circa il 4% dei decessi totali rientra nel suicidio assistito. Ciò significa che, applicando gli stessi criteri, oggi in Italia le persone potenzialmente interessate sono circa 20.000. Un numero importante. Credo che davvero meritino di essere ascoltate».
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