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L'EPIFANIA A CREMONA

Comunità unite per la ‘Festa dei popoli’

Il vescovo Napolioni: «Grazie ai fratelli e alle sorelle giunti da altri Paesi con i loro suoni». Alla cerimonia in duomo hanno partecipato i gruppi di cattolici provenienti da Nigeria, Romania, Costa d’Avorio, Ghana e Ucraina

Gianpiero Goffi

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redazione@cremonaonline.it

06 Gennaio 2025 - 18:29

Comunità unite per la ‘Festa dei popoli’

CREMONA - «Incoraggiati nella gioia della fede. La prima è andata bene, possiamo pensare all’inizio di una tradizione...», poi l’invito: «Scateniamoci per la pace», prima delle foto con i gruppi partecipanti. Così il vescovo Antonio Napolioni ha espresso la propria soddisfazione oggi, poco dopo mezzogiorno, al termine della ‘Festa dei popoli’, la celebrazione dell’Epifania che ha visto convenire in cattedrale le diverse comunità cattoliche straniere presenti in città e in diocesi, provenienti da Costa d’Avorio, Ghana. Nigeria, Romania, Ucraina, e insieme a loro una rappresentanza di religiose di varie nazionalità operanti a Cremona, sia indiane che latino-americane.

Una liturgia che si è caratterizzata proprio nel manifestare la gioia – canti, danze, uso di strumenti a percussione (come i tipici tamburi africani), il ritmo dei battimani – e insieme, attraverso la pluralità e il convergere delle lingue, delle tradizioni anche rituali, dei colori e dei costumi, nell'indicare, come hanno detto introducendola don Umberto Zanaboni, incaricato diocesano per la pastorale missionaria e delle migrazioni e poi lo stesso vescovo, che il Vangelo è rivolto a tutti e la Chiesa è aperta senza distinzioni di origine, lingua, cultura, etnia.

La festa «non è stata un’idea del vescovo o di don Umberto», ha premesso monsignor Napolioni, ma un’indicazione della stessa Parola di Dio. Perché l’Epifania, con l’arrivo e l’adorazione dei Magi, sta a significare proprio l’omaggio di tutti i popoli, dopo quello dei pastori di Betlemme, a Gesù Redentore dell’uomo e del mondo.

Le danze delle donne africane hanno in particolare accompagnato la processione con il libro dei Vangeli e quella dell’offretrorio che ha portato all’altare, oltre ai vasi sacri e al pane da consacrare, anche i frutti della terra. Parti del Vangelo, e le intenzioni della preghiera dei fedeli sono stati letti, oltre che in italiano, in francese (prevalente nei canti), inglese, spagnolo, romeno, ucraino, hindi. Il latino ha fatto la sua comparsa nel canto corale dell’Agnus Dei.

Accanto al presule hanno concelebrato i canonici del Capitolo, don Zanaboni, don Nicolas Diene, cappellano della comunità africana francofona, don Patsilver Ocah, cappellano della comunità africana anglofona, don Gabriel Ionut Giurgica, cappellano della comunità romena e il direttore della Caritas, don Pierluigi Codazzi.

Dalla profezia di Isaia ha preso le mosse l’omelia del vescovo: «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te». Sono i popoli non più prigionieri della nebbia, che vengono da lontano, figli di Dio sui quali risplende la luce. L’Epifania è festa della famiglia dei popoli. E lo «stupore», anche oggi in duomo, non è tanto espressione di «curiosità» quanto piuttosto di «contemplazione».

Dando il benvenuto e dicendo «grazie ai fratelli e alle sorelle giunti da altri paesaggi e suoni», monsignor Napolioni ha sottolineato che essi «non rinnegano la propria radice», ma portano il loro bagaglio originale e lo innestano nel nuovo contesto in cui vivono anche, ha auspicato, diventando «connazionali», vincendo pregiudizi, stanchezze e paure.

«Io stesso – ha aggiunto – non so più se sono marchigiano o lombardo. Sono tutti e due», così la Chiesa è fatta di Chiese, è famiglia di famiglie, di pellegrini di speranza non solo per il Giubileo ma in una «risposta di gioia al mondo che sembra volercela togliere», risposta possibile perché uniti «nella sequela del Signore».

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