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LE STORIE DI GIGIO

Il Natale del pastore Roberto: «La libertà prima di tutto»

Gusardi, 40 anni, ha cominciato a guidare i greggi a 7 anni. «È un mestiere duro, ma non come una volta quando non si incontrava nessuno per giorni»

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

23 Dicembre 2024 - 05:20

Il Natale del pastore Roberto: «La libertà prima di tutto»

CREMONA - C’è una persona che non trascorrerà il Natale con la famiglia. «Anche quel giorno sarò in giro, io e le mie pecore». Sciarpa rossa, berretta nera, strato di maglioni uno sopra l’altro per ripararsi, Roberto Gusardi, 40 anni, sorride con la sua stretta di mano vigorosa e la sua simpatia prorompente davanti alla sorpresa di chi gli chiede conferma del lavoro che fa: «Sì, sono un pastore. No, non ho paura della solitudine. C’è una cosa più forte di tutto il resto: la libertà della vita che ho scelto».

È stato il bisnonno ad aprire la strada; dopo di lui il nonno, Pierino; dopo ancora il padre, Annibale, e la madre, Giacomina, «ma tutti la chiamano Mina», entrambi ancora in attività. Con Roberto e il fratello, Piergiacomo, i Gusardi sono alla quarta generazione di un mestiere antico come la storia dell’uomo ma scomparso un po’ ovunque. «Abito a Pieve Terzagni, frazione di Pescarolo ed Uniti. Trascorro l’inverno in pianura, spostandomi da campo a campo, e l’estate, all’arrivo dell’afa, in montagna per l’alpeggio, al Passo del Mortirolo, dove possediamo una malga nel territorio del comune di Monno». Da lì, a fine autunno, è sceso per la transumanza. Si muove nella nebbia della via Mantova con il suo gregge: un migliaio di pecore, una settantina di capre, due cavalli. Tutti trasferiti dalla Val Camonica su mezzi adibiti al trasporto animali. «Un tempo avevo anche gli asini e una mucca».

Si è innamorato sin da bambino di questa tradizione secolare. «Frequentavo le elementari, avrò avuto 7-8 anni. Accompagnavo il papà, poi ho provato da solo, lui veniva a controllarmi. Poco dopo ho avuto un gregge tutto per me. La scuola? La scuola qui si fa sulla strada».

Durante le tappe del cammino, si mette in testa al fiume di lana con i suoi quattro cani, tutti incroci come Olmo e Rex, ai lati. Con loro anche cinque pastori maremmani. «Per difendersi dai lupi: se ne incontrano più da queste parti che sui monti. Per ora non ho avuto problemi, ma non cantiamo vittoria troppo presto. I cani sono tutti intelligenti, c’è quello che magari si stanca di più, chi è portato per un compito chi per un altro, ma ognuno ha una mansione precisa e sa come svolgerla».
La vita del pastore moderno è cambiata. «In passato si faceva la tosatura due volte all’anno, ora soltanto una, a metà settembre-primi di ottobre quando scendiamo in pianura. Meglio lasciare la lana al bestiame anche d’estate per evitare, con le temperature mai così alte, che si scotti». Dietro i mutamenti ci sono anche ragioni economiche. «La lana non vale più niente, nessuno la vuole. Adesso, invece, delle pecore si vende la carne, destinata in gran parte, come quella degli agnelli, ai mercati islamici. Le mie sono di razza bergamasca, non sono buone nemmeno per il latte. Si nutrono unicamente di ciò che viene scartato dagli agricoltori».

Il loro guardiano non si riposa più all’ombra di un albero con un filo d’erba tra le labbra. «Abbiamo le reti elettriche, un recinto sicuro che si monta e si smonta. In questo modo, se lo desidero, posso starmene sulla roulotte o andare con il fuoristrada al bar e al ristorante con gente che conosco». Meno difficoltà da un lato, ma di più dall’altro. «La coltivazione della terra si è estesa riducendo le aree per il pascolo. Alcuni proprietari ci lasciano passare sui loro possedimenti, siamo diventati amici, aspettano il nostro arrivo, se possono danno volentieri un mano. Altri no. È normale che ognuno si comporti come crede.

Il secondo problema è l’aumento del traffico che ha complicato l’attraversamento delle strade». La sua giornata comincia presto. «Un mattino alle 5, quello dopo alle 6.30. Vengo al gregge, controllo che sia tutto a posto, guardo i nuovi nati, ci sono pecore che si tengono accanto i loro agnellini e altre invece che vogliono separarsene. Poi via, si parte».

Una cosa è rimasta uguale: «Sotto la pioggia, al gelo o con la neve, l’importante è andare alla ricerca del pascolo migliore».
All’improvviso i rintocchi dei campanacci dilagano, la distesa dei mille grossi gomitoli ondeggia. La loro guida grida e fischia, fischia e grida: Olmo, Olmo. «È un testone, non mi ascolta. Stava portando un gruppo di animali troppo vicino alla strada».

Poi un’altra piccola emergenza che per lui è la normalità. «Devo correre perché è venuto alla luce un agnellino. Lo caricherò con la mamma sul carrello mobile, poi deciderò se riportarlo con il gregge, dipende dal freddo che farà. Oggi di parti ce ne sono stati sei, una giornata impegnativa».

Gusardi sbuca nuovamente dal buio. «Non mi sento fuori dal mondo. Questo è un lavoro come un altro, ma richiede tanta passione. Non ci sono domenichevacanze. Per me è una malattia che viene da dentro, uno ha quella per le auto o le moto, io ho questa. Non ce la farei a stare chiuso in fabbrica o in ufficio. È un mestiere duro ma non come una volta quando non si incontrava nessuno per giorni. Pentito? Per niente. Voglio essere libero, all’aria aperta».

Immerso nella natura e in mezzo alle sue amiche belanti. «Ti conoscono, sanno chi sei, se andare o fermarsi, hanno i loro orari. Non è vero che sono tutte uguali, ognuna ha il suo carattere, una è più affettuosa e l’altra più schiva, una più forte e l’altra più debole. E poi è sempre emozionante vedere nascere i loro piccoli». Poche ore al Natale del pastore.

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