L'ANALISI
06 Dicembre 2024 - 20:29
CREMONA - Al via il progetto ‘Chéi del caret’, presentato oggi pomeriggio al centro Sinapsi. Si tratterà di uno stand – di fatto un carretto – che servirà il caffé agli avventori, gestito interamente da persone diversamente abili. Si comincerà al Cookies, al polo tecnologico; forse, poi, diventerà itinerante. Perché la disabilità si metta in gioco, e divenga parte della giornata qualsiasi del cittadino qualunque. Come una pausa caffè, appunto.
«Il nome ‘Chei del caret’ nasce dall’idea di semplificare molto in poche parole – introduce Chiara Pedroni, membro dello staff – preferiamo le parole semplici, purché i fatti invece siano forti e chiari. È un nome simpatico, che potrebbe entrare facilmente nella testa delle persone».
Luca Rivaroli, presidente dell’Associazione Marcotti Osvaldo (AMO), sottolinea il valore inclusivo dell’iniziativa: «L’associazione nasce per onorare la memoria di Osvaldo Marcotti – spiega – che era affetto da una malattia genetica, la SMA, che lo ha costretto in sedia a rotelle. Questo ostacolo, tuttavia, non lo ha fermato; anzi, è stato un motivo in più per impegnarsi a risolvere i problemi degli altri. I suoi occhi erano azzurri come questa bellissima fondazione». La storia di Osvaldo rivela come la disabilità possa diventare una risorsa: «L’inclusione, ormai, è una necessità – conclude Rivaroli – e non certamente solo per i disabili».
Ecco, dunque, come nasce l’idea del caffè inclusivo. «Per perseguire il nostro scopo, abbiamo deciso di acquistare il carretto che vedete davanti a voi per creare occupazioni lavorative dedicate alla fragilità e alla disabilità», aggiunge Manuel Generali (theverso), e prosegue: «Lo abbiamo fatto anche perché sappiamo che è difficile trovare contesti lavorativi davvero accoglienti, in cui la persona diversamente abile possa sentirsi valorizzata appieno».
Generali presenta poi lo staff, che è sul posto: «Nel progetto ‘Chei del caret’ sono attualmente coinvolti quattro ragazzi, Chiara, Vittorio, Ivan, Tessir. È la prima ‘squadretta’ che abbiamo intercettato in questi mesi, ma speriamo che possa crescere ancora. Sono persone molto diverse, con caratteristiche e risorse molto dissimili, che permetteranno un bel lavoro di squadra».
Chiude Filippo Ruvioli, presidente Occhi Azzurri Onlus: «Questo progetto, come il centro Occhi Azzurri, ha l’ambizione di accogliere. Lo stereotipo della famiglia con disabilità è l’ora di fisioterapia. Non è così: le persone amano superare i limiti dettati da una condizione particolare, con fantasia, entusiasmo e voglia di stare insieme. Proprio come sul lavoro».
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