L'ANALISI
30 Novembre 2024 - 05:25
CREMONA - Putin e Biden, a breve anche Trump, potrebbero prendere spunto. Il dialogo Usa Russia è possibile, almeno in liuteria. La The Violin Society of America, nel suo cinquantesimo, ha deciso di premiare il liutaio moscovita, naturalizzato cremonese, Akop Azoyan. Un primo segno di rinnovata distensione fra le due potenze? Il diretto interessato ridà la giusta dimensione alla cosa: «Dedico questa medaglia alla città di Cremona, che mi ha accolto, mi ha dato molto e mi ha permesso di essere quello che sono oggi: un liutaio».
Sorride e brillano gli occhi ad Azoyan, che ha ottenuto la medaglia d’argento al concorso statunitense. «Tutto grazie al mio violino anticato. Ho ottenuto un punteggio altissimo 279 su 300 — racconta —. In gara c’erano oltre 200 violini, provenienti da tutto il mondo. La medaglia d’oro non è stata assegnata. Ciò che è piaciuto del mio lavoro è stata la precisione del mio strumento, costruito su un modello stradivariano. Se non fossi qui a Cremona, non avrei potuto ottenere questo successo».
Perché?
«Non c’è altro posto al mondo dove si trovano tanti strumenti di liuteria classica riuniti tutti insieme e che puoi vedere tutti i giorni. Questo è quanto facevo, appena arrivato qui, da studente della scuola di liuteria. Finite le lezioni andavo a vedere gli strumenti di Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù, un tempo conservati in palazzo Comunale. Facevo la spola fra Comune e il Museo Stradivariano a palazzo Affaitati. È stata una vera ossessione, ma oggi è soprattutto la mia passione e la mia mission professionale».
Come nasce la sua passione per la liuteria?
«Dalla mia famiglia. Mio padre Michail è liutaio, si è formato da autodidatta. Sono di Mosca, mio padre ha una bottega. Ho iniziato a suonare la chitarra, volevo iscrivermi al conservatorio, ma ho sempre avuto anche una certa intelligenza manuale
Mio padre mi ha segnalato la scuola di Cremona. E sono partito. A Mosca non c’è una scuola dove si possa imparare a costruire violini».
Il suo nome non ha un’eco russa.
«La mia bisnonna dopo il genocidio armeno, nel 1914, scappò in Russia. Io mi sono formato a Mosca e sono russo».
La situazione in Russia ora com’è?
«È una tragedia umana e tristissima. Di cui non vorrei parlare».
Perché ha deciso di fermarsi a Cremona?
«Perché non c’è alcun’altra città in cui ci sia una comunità di liutai così numerosa, in cui lo scambio fra colleghi sia pressoché quotidiano. Solo così si cresce, col confronto. Io ho avuto come maestri Giorgio Scolari e Massimo Negroni, a loro devo quello che so fare. Dopo la scuola ho lavorato presso la bottega di Francesco Toto, poi, a un certo punto, ho sentito la necessità di mettermi in proprio, di lavorare da solo».
La sua bottega, nel cuore del centro storico, sembra un atelier. È qui che la storia si incontra con il presente?
Sorride: «Fare strumenti anticati vuol dire immaginare di poter costruire un violino che mantenga i segni del tempo, dell’uso. C’è chi ama queste specie di strumenti. Io non mi limito a fare le copie perfette, prendo ispirazioni, in ogni strumento cerco di infondere la mia personalità, il mio amore per i segni che raccontano di un passato più o meno recente. Per questo credo siano state determinanti quelle giornate passate a guardare i violini dei grandi liutai del passato cremonese».
Crede che questo riconoscimento cambierà il suo lavoro?
«No, credo che sia una conferma rispetto alla reputazione che ogni artigiano si fa giorno dopo giorno, lavorando seriamente e con la necessaria concentrazione, non cercando scorciatoie, ma dando il massimo di sè stesso. Ho una convinzione: non bisogna smettere di essere studente, solo così puoi metterti in discussione e crescere giorno dopo giorno».
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