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LE STORIE DI GIGIO

La detective dell’arte al servizio di Walpole

Silvia Davoli, studi al Manin e alla Sorbona, ha recuperato la collezione dello scrittore inglese

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

28 Ottobre 2024 - 05:25

La detective dell’arte al servizio di Walpole

La direttrice artistica Silvia Davoli 48 anni cremonese

CREMONA - Guglie, torrette, pinnacoli. Alla periferia sud ovest di Londra spunta un castello color latte che sembra uscito da un libro di fiabe. ‘Harry Potter è il figlioccio dell’antico inquilino di questa villa’, scherza ma non troppo Silvia Davoli, 48 anni, cremonese, esperta di collezionismo, ‘custode’ appassionata di questo luogo magico diventato un museo. Prima curatrice e, dal 2021, direttore artistico di Strawberry Hill, costruita nel 1749 dallo scrittore inglese Horace Walpole, inventore dello stile neogotico che caratterizzò l’architettura di mezza Europa. Il cosiddetto Gothic Revival.

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Strawberry Hill, costruito nel 1749 dallo scrittore inglese Horace Walpole

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La studiosa è arrivata a Strawberry Hill partendo dal liceo Manin, lo sperimentale linguistico, e da qui alla Statale di Milano. «Inizialmente non avevo le idee chiarissime, ma mi piacevano le arti visive, la letteratura, l’archeologia, la storia culturale e così sono approdata, in modo non molto lineare, alla storia del collezionismo. A quei tempi era una materia praticamente inesistente negli atenei italiani mentre oggi va di gran moda. Studiare una collezione è come studiare un linguaggio, quello del collezionista, solo che al posto delle parole ci sono gli oggetti d’arte. Quando un collezionista muore, o una collezione è dispersa, le idee che univano oggetti, memorie e concetti in un tutto coerente si perdono. Il lavoro dello storico del collezionismo è quello di ricostruire quei nessi smarriti».

Dopo la laurea in Storia dell’economia, il master alla Sorbona, seguito dall’esperienza da Sotheby’s, sempre a Parigi. «Un anno divertente. Si doveva dare un prezzo alle cose, io invece sono attratta dalle persone e dalle vicende che stanno dietro». L’ex liceale si è specializzata nelle collezioni di opere d’arte disperse ed è andata in Brasile per occuparsi della produzione dell’architetto italiano Lina Bo Bardi, al tempo relativamente poco conosciuta nel nostro Paese, ma divenuta un mito nella sua patria d’adozione, e ha realizzato il documentario Oficina Bo Bardi, poi acquistato dalla Rai. «Chiusa questa parentesi, sono tornata in Francia e al mio dottorato, iniziato alla Sorbona e finito a Reims».

La vera svolta della sua brillante carriera coincide con il trasferimento a Londra. «Ero messa male con la lingua, all’inizio ero spaesata non avendo mai studiato cose inglesi prima di allora. Ma mi sono arrangiata. In Francia come in Italia bisogna trovare qualcuno che ti protegga. L’Inghilterra, invece, è diversa, si premia davvero il merito. È qui che ho imparato a lavorare».

Dopo varie collaborazioni con altri musei inglesi (tra cui la Wallace Collection, la National Gallery e Waddesdon Manor), è entrata a Strawberry Hill nel 2013 come ricercatrice. «È la prima villa costruita secondo lo stile neogotico, una delle categorie estetiche più importanti di cui Walpole è uno dei padri fondatori. Mecenate, antiquario, letterato, designer, è un personaggio enorme, straordinario. Eclettico e vulcanico, anche difficile da contenere: figlio del primo ministro britannico Sir Robert, ha litigato con David Hume e fatto uno scherzo a Rousseau. Molto amato dai suoi connazionali, è l'inglese per antonomasia».

L’autore de ‘Il Castello di Otranto’, il primo romanzo gotico fonte di inspirazione per Edgar Allan Poe, aveva una cultura sterminata e una passione divorante per il collezionismo. Giocava con la storia. «Nella sua residenza, diventata all’epoca una delle mete più gettonate dalla gente che conta e restaurata nel 2010, ha portato di tutto: quadri di Rubens, Raffaello, Van Dyck, sculture antiche compresa la colossale aquila romana in marmo risalente al primo secolo d. C. e comprata per 100 zecchini. Ma anche stranezze e reliquie. «Come una ciocca dei capelli rossi di Maria Stuarda; il pugnale di Enrico VIII; l’orologio d'oro di Anna Bolena; lo specchio magico di provenienza azteca del dottor Dee, l’alchimista di Elisabetta I. Per recuperare gli oggetti Walpole faceva anche aprire le tombe. Ha lasciato una descrizione della sua dimora stanza per stanza e della sua raccolta pezzo su pezzo. Era ossessionato dal timore che un giorno i suoi bene e la sua casa sarebbero stati separati». Un timore fondato: nel 1842 questo immenso patrimonio venne messo all’asta dagli eredi e sparpagliato in una delle vendite più famose del secolo. «Quelle gemme lasciarono Strawberry Hill apparentemente per sempre».

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Alcune immagini delle stanze e delle opere della mostra ‘I tesori perduti di Strawberry Hill’ nel castello che sorge alla periferia sud ovest di Londra (per gentile concessione di Strawberry Hill House and Garden)

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Già, apparentemente. Perché alla dottoressa Davoli è stato affidato il compito di rintracciarle. Un’indagine difficile, complessa, durata per cinque anni. «È stato un vero e proprio lavoro da detective, ho visto tante collezioni private e conosciuto molti mercanti d’arte». Grazie ai suoi sforzi, dal 2018 al 2019 è stata allestita la mostra ‘I tesori perduti di Strawberry Hill’ che ha riunito 150 opere e coinvolto una cinquantina di prestatori. Finalmente i gioielli sono tornati a risplendere nel loro scrigno. Più di recente la studiosa ha ritrovato un busto di Caligola, una scoperta finita sulle pagine del Guardian. Dopo essere stati ammirati dal grande pubblico tra le loro mura naturali, i capolavori di Walpole hanno ripreso la strada del Louvre, del Metropolitan, del British Museum o del Victoria and Albert Museum.

Ora il castello bianco è un museo che richiama molti visitatori, uno spazio che organizza esposizioni di assoluto rilievo come quella sulle stampe di Albrect Durer. Davoli collabora anche con l’Università di Oxford a un progetto sul collezionismo ebraico. Una delle sue ultime fatiche è il documentario, realizzato con il marito Adriano Aymonino, suo collega ma più rivolto alla cultura classica, su Raniero Gnoli, il massimo esperto di marmi colorati dell’antica Roma.

La ricercatrice fa tappa spesso a Cremona. «Sono legata alla mia città natale, che ho amato e in cui mi sono divertita. Mi piacerebbe scrivere qualcosa su di essa, sulle cose, gli oggetti d'arte cremonesi che hanno preso vie diverse, lontane». Non esclude la possibilità, un giorno, di tornare a vivere nel suo Paese. «Mi sento italiana al cento per cento. Chissà, vedremo. E poi qui a Londra piove sempre. Più di lì».

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