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CREMONA. IN AULA

«Truffa all’Inps». Melega: niente sentenza

Imputati il manager e Visigalli. Il teste non c’è, rinvio. Scintille tra pm e difensori

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

13 Settembre 2024 - 19:23

«Truffa all’Inps». Melega: niente sentenza

Il tribunale. Nei riquadri gli avvocati Nicoli e Angeleri

CREMONA - Sulla carta, era il giorno della sentenza, ma dovranno attendere il 24 gennaio prossimo l’imprenditore Marco Melega e il suo ex socio Cristian Visigalli, accusati di una presunta truffa all’Inps, costola del processo madre ‘Doppio click: la maxi indagine sulle truffe on line. Vicenda giudiziaria, questa, che Visigalli ha chiuso a luglio del 2021 con un patteggiamento a 4 anni e 6 mesi dal gup, sentenza diventata definitiva l’agosto successivo, solo che poi in carcere per scontare la pena lo hanno portato tre anni dopo, a luglio di quest’anno. Vicenda tuttora aperta, invece, per Melega, che ha appellato la condanna a 10 anni 5 mesi e 15 giorni arrivata a novembre scorso per frode fiscale, due reati di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e decine di truffe online. Alla corte d’appello di Brescia, la data dell’udienza non c’è ancora.

Nel processo satellite sulla presunta truffa all’Inps, secondo l’accusa Melega avrebbe licenziato Visigalli dalla Consulting srl (società che offriva ai clienti importanti servizi pubblicitari in cambio di merce e che stava per fallire) per riassumerlo, dopo tre mesi - «con un contratto fittizio» - nella società Mito per 20 giorni affinché ottenesse la Naspi (indennità mensile di disoccupazione), percependo 14.691 euro e ingannando l’Inps.

Indagine già raccontata dal luogo tenente della Guardia di Finanza all’udienza di giugno scorso, quando in aula ci furono scintille tra investigatore e difensori degli imputati, gli avvocati Luca Angeleri di Pavia e Massimo Nicoli. Perché l’inquirente «è andato per deduzioni, nessuna prova». Gli ‘saltarono in testa’ quando disse: «Il contratto è ovviamente fittizio». «Perché ovviamente fittizio? - rilanciarono gli avvocati —. Come fa a dirlo? È stato verificato che Visigalli lavorasse effettivamente per la Mito? Avete fatto dei sopralluoghi?».

Il finanziere spiegò che fu Visigalli a riferirlo nell’indagine madre. Ma quanto ai ‘sopralluoghi’, «noi non abbiamo appurato». Apriti cielo. «Appunto! Dove sono gli artifizi e i raggiri? Chi aveva aperto un conto in banca? Chi aveva fatto le pratiche in Camera di Commercio? A Melega è contestato il fatto di essere il rappresentante della Consulting e della Mito, ma dove sono le prove? Voi avete solo dedotto». Da ultimo, ma non per ultimo, «il contratto è talmente fittizio che l’Inps ha riconosciuto a Visigalli la Naspi; la Guardia di finanza ha fatto la segnalazione e l’Inps non ha né aperto il procedimento amministrativo né qui si è costituito parte civile. L’Inps ha guardato e ha visto che non c’erano elementi per contestare. Questi sono gli accertamenti che ha fatto la Guardia di Finanza? Il tema è: il contratto era fittizio o no? Il finanziere non lo ha accertato. Punto». I difensori auspicarono che quel giorno il giudice mettesse il punto con il proscioglimento di Melega e Visigalli, richiamandosi all’articolo 129 del codice di procedura penale: prevede che il giudice provveda ad emettere sentenza di proscioglimento ogni volta che risulti ‘evidente’ l’innocenza dell’imputato. Ma il pm si oppose, chiedendo di portare a testimoniare il secondo finanziere che aveva seguito l’indagine con il collega. E che all’udienza non si era presentato per un legittimo impedimento. Richiesta accolta dal giudice.

Si arriva a oggi. Il testimone non si è palesato: la notifica non ha avuto esito, stavolta. Il pm onorario ha insistito per sentirlo, in quanto il rapporto investigativo lo ha firmato lui. Ma gli avvocati Angeleri e Nicoli si sono messi di traverso, perché l’investigatore delle Fiamme Gialle ha sì firmato il rapporto, «ma ciò non significa che abbia fatto lui le indagini, come spesso accade». E perché «il primo finanziere aveva detto che le indagini le aveva fatte lui». Ne è nato un battibecco tra accusa e difesa. Alla fine, l’ha spuntata il pm: rinvio al 24 gennaio prossimo per sentire il teste.

Fuori udienza, gli avvocati sono tornati a parlare di «pregiudizio» dopo le condanne arrivate nell’indagine madre. «Poiché sono brutti e cattivi, allora Melega e Visigalli lo sono sempre. Eh no. Ogni processo è a sé. E - ha sottolineato Angeleri —nei processi satellite per reati tributari, Melega è sempre stato assolto ‘perché il fatto non sussiste’. Non valgono le deduzioni, tu devi portare le prove». Ma «dopo l’indagine ‘Doppio click’, gli arresti e le condanne, Melega e Visigalli resteranno sempre i brutti e i cattivi».

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