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Caso Melega, il pm chiede 12 anni di reclusione

Oggi la penultima udienza dell'indagine 'Doppio Click' della Gdf. L'imprenditore 51enne è accusato di associazione per delinquere, due bancarotte, due reati finanziari e autoriciclaggio

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

09 Novembre 2023 - 21:55

Caso Melega, il pm chiede 12 anni di reclusione

CREMONA - Dodici anni di reclusione. Li ha chiesti il pm, Chiara Treballi, per Marco Melega, 51 anni, l’imprenditore accusato di associazione a delinquere finalizzata a commettere 95 truffe on-line , imputato anche di due bancarotte, di due reati finanziari e di autoriciclaggio. La richiesta è arrivata oggi, penultima udienza dell’indagine Doppio Click della Guardia di Finanza nata dalle denunce di numerosi clienti che sui siti on line advstock e marashopping comperarono - a prezzi convenienti - merce mai arrivata né rimborsata: dalle bottiglie di vino pregiato ai buoni carburante, dagli smartphone ai Nintendo. Clienti in tutta Italia che si fidarono delle martellanti campagne pubblicitarie su tv e radio nazionali.


Secondo il pm, Melega, avrebbe mandato in fallimento due società, avrebbe creato delle sicietà cartiere mettendo a capo dei prestanome, m a«tutte a lui riconducibili». Avrebbe messo in piedi un meccanismo finalizzato a riciclare, a proprio vantaggio, il denaro illecitamente accumulato attraverso le truffe.
Tutte accuse che a luglio del 2019 lo portarono in carcere (poi ai domiciliari) insieme a Cristiano Visigalli, il suo braccio destro, l’amico di vecchia data (i due si conobbero all’oratorio da ragazzini) uscito dall’indagine con un patteggiamento a 4 anni e 6 mesi di reclusione, scaricando ogni colpa su Melega: «Faceva lui, disponeva lui».


«Tutte le decisioni le prendeva Melega che aveva in Visigalli il suo interlocutore privilegiato», ha detto il pm nel ricostruire e, soprattutto, nel difendere le indagini delle Fiamme Gialle finite sotto attacco della difesa. «Indagini lacunose, grossolane, superficiali», hanno ribattuto gli avvocati Luca Angeleri e Ileana Peotta di Pavia. Personaggio che ha fatto parlare di sé Melega, istrionico imprenditore con il pallino per il marketing pubblicitario, nel 2010 fondò la Crevit Italia Spa, società che quattro anni dopo assunse fama nazionale con il lancio della valuta complementare, poi è stato il pioniere del barter (baratto) nella pubblicità, a cui si appassionò durante gli studi a Miami, negli Usa. Un circuito, il barter, «che non ha flussi di denaro e qui la Guardia di Finanza ha preso un granchio», ha incalzato la difesa che di Melega hanno consegnato il ritratto di un manager di successo che si è attirato delle invidie. Per la difesa, Visigalli, ha compiuto le truffe attraverso le srl Adv Company e Domac (a cui erano agganciati i siti e-commerce), società «gioielli» della famiglia Visigalli. Il quale «ha fatto una scelta di campo per guadagnarsi il paradiso e ha patteggiato».


Hanno reiteratamente attaccato le indagini, i difensori. Melega era un uomo chiave della Consulting srl, società «fittizia» per chi ha indagato. Società esistente per la difesa, con sede «pienamente operativa a Bussolengo (Verona)». Melega faceva consulenze, strappò contratti milionari. Come quello con la Mocautogroup, il colosso che tra il 2014 e il 2018 investì circa 2 milioni in campagne pubblicitarie su Milano. L’affare gli fruttò 600mila euro. E non è il solo.


«La Guardia di Finanza ha detto che aveva stipendi da nababbo. Con gli strumenti investigativi a sua disposizione, avrebbe potuto fare accertamenti e scoprire che guadagnava molto anche negli anni precedenti. Avrebbero avuto il polso delle entrate e delle uscite. Se dal 2008 al 2017 fosse stato un poveretto e poi si fosse all’improvviso arricchito, ci sta. Non è così. Ma il teorema iniziale è che Melega è il cattivo». Mentre, per la difesa, era «l’imprenditore capace, a volte anche spregiudicato, ma assolutamente distante dal commettere banali truffe. Che senso aveva che si mettesse a truffare la gente? Le truffe le ha fatte Visigalli. Imprenditorialmente, Melega è morto nel 2019. Va assolto: bisogna ricondurre ad una equa giustizia una vicenda indotta sicuramente dalla visibilità di Melega e anche da un po’ di invidia. Ma dire che lo ‘spaccone’ è un delinquente ce ne passa». 

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