L'ANALISI
CREMONA. LA CITTÀ DELLA MUSICA
01 Settembre 2024 - 05:20
CREMONA - È il decano dei liutai cremonesi, ha visto lo sviluppo delle botteghe in città dagli anni Settanta a oggi, è stato l’allievo prediletto di Gio Batta Morassi, ha formato generazioni di liutai. Stefano Conia, 78 anni, guarda alle perplessità sull’ingerenza cinese nel mondo della liuteria con un mezzo sorriso e dice: «Tocchi qui — porgendo un violino in via di ultimazione che al tatto è liscio e brillante all’occhio —. Questo è un Conia, non ce n’è uno uguale, perché se dovessi rifarlo sarebbe un altro violino».
Con questo cosa intende dire?
«Beh, che la forza della liuteria cremonese sta nella sua artigianalità, nel contributo che ognuno di noi fornisce alla storia e alla tradizione della liuteria classica di Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù. I cinesi per un violino simile diventano matti, certo, è un mercato di nicchia, ma la nicchia rapportata ai numeri cinesi è sempre interessante. Per gli strumenti seriali, soprattutto a uso didattico, i cinesi non hanno rivali».
Lei ha partecipato al workshop organizzato dal Conservatorio di Pechino e dalla Scuola internazionale di liuteria. Ma davvero c’è il rischio di tradire i segreti di Stradivari?
Altro sorriso: «Il discorso è un altro e riguarda il rischio di contraffazione dei marchi e dell’autenticità degli strumenti. Mi spiego. La capacità di fare un buon violino è una cosa, lo spacciare un violino con il nome di un altro liutaio è truffa. Tutti noi facciamo copie degli strumenti di liuteria classica, ma non vendiamo i nostri strumenti come violini fatti da Stradivari o Amati. Sul mercato ci sono molti strumenti firmati Conia che io non ho mai fatto. Questo accade sul mercato cinese, come su altri mercati internazionali. Ma siamo nel campo dell’illegalità».
E chi teme per l’identità della nostra liuteria?
«Una cosa è il mercato, un’altra cosa la tutela della qualità del nostro saper fare liutario. Ciò che in Cina cercano dai nostri strumenti è l’unicità del nostro modo di produrli».
Ma insegnando la prassi costruttiva cremonese non si rischia di perdere in unicità?
«Ma io sono ungherese, non cremonese. Mio papà è venuto qui e si è diplomato alla Scuola di liuteria, la Scuola internazionale di liuteria. Gio Batta Morassi non ha origini cremonesi, ma è uno dei fondatori della liuteria contemporanea. Credo sia necessario partire da quell’aggettivo internazionale che caratterizza da sempre la scuola, volta a diffondere la grande tradizione cremonese al di là dei confini geografici».
Anche in Cina?
«Il primo cinese diplomato a Cremona è stato l’amico Zen Huan che poi è diventato il direttore della sezione di liuteria del Conservatorio centrale di Pechino. La stessa cosa vale per Gao Tong Tong ,che si è formato a Cremona e ora dirige la scuola di liuteria, sempre a Pechino, succeduto a Huan, anch’egli allievo di Morassi. Questo per dire come il nostro saper fare liutario sia da decenni un patrimonio condiviso ben oltre Cremona. Il seminario, organizzato da Gao Tong Tong in sinergia con la scuola, ha origine in questo percorso. Ma, ripeto, ciò che ci distingue e che ricercano dai nostri strumenti è l’unicità, è il fatto che sono creati nella città di Stradivari».
Conferma anche lei, pur vivendo da oltre cinquant’anni a Cremona, il fascino di fare violini nella città di Amati?
«Io mi sono fermato qui dopo aver fatto la scuola, ho lavorato nella bottega di Morassi, poi lui mi chiese di sostituirlo nell’insegnamento, una volta andato in pensione. Certo, il fascino di Cremona per chi fa questo lavoro è indiscutibile».
L’aria che si respira qui con oltre 180 botteghe liutarie non si respira da nessuna parte. Dicono spesso i suoi colleghi.
«A forza di respirare liuteria, ho perso il mio di respiro. Scherzo, ma effettivamente è così. Io stesso mi sono fermato qui, ho fatto qui la mia carriera di liutaio, perché quello che accade a Cremona non accade da nessun’altra parte nel mondo. La mia età mi ha permesso di vivere direttamente la crescita dell’intero comparto, l’impegno col preside Sergio Renzi nella diffusione nel mondo della nostra liuteria. E qui torniamo al respiro internazionale della nostra liuteria, al fascino di essere nella città che ha dato i natali al violino e ne ha reso uniche forme e dimensioni».
Tutto questo vale anche per i ragazzi cinesi che hanno frequentato la settimana di workshop intitolata Campo estivo Stradivari?
«Quando Gao Tong Tong mi ha chiesto di partecipare, in qualità di insegnante, mi è parso naturale aderire nel segno di quella missione di diffusione della liuteria e della cultura liutaria che credo mi caratterizzi da sempre. Mi viene da dire: non starei in bottega dodici ore al giorno, se non amassi il mio mestiere. In qualche modo Gao ha chiamato a raccolta gli amici di una vita, i colleghi con cui ha condiviso il percorso di formazione a Cremona. Credo che sulla scia di quanto lui ha provato, abbia voluto rendere questa esperienza un’opportunità anche per i suoi allievi».
Il risultato, dal suo punto di vista di docente, qual è stato?
«Ho avuto a che fare con studenti formati, giovani liutai che sono venuti a Cremona sedotti dal fascino della città di Stradivari e dalla nostra tradizione. Hanno lavorato come pochi, con grande concentrazione, ringraziando ad ogni passaggio, ad ogni indicazione».
Che cosa si sono portati a casa i suoi studenti?
«Credo abbiano percepito il fascino di aver lavorato qui, con i maestri che hanno contribuito alla storia della liuteria contemporanea. Hanno capito che non basta rispettare le misure, lo spessore della tavola per creare un buon violino, ma la differenza fra uno strumento di scuola e uno d’autore sta nella capacità di far emergere la personalità del liutaio che rende unico ogni strumento. Come questo violino che sto ultimando, proprio per un cliente cinese».
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