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LA STORIA

Il 'Capolavoro' di Rebecca: «La mia tesi con Thisability»

La 20enne si è diplomata all’Einaudi, all’esame di Maturità ha presentato un lavoro molto personale: «Allo Zini in servizio nell’area Hospitality con i ragazzi down per due anni, li ringrazierò per sempre»

Felice Staboli

Email:

fstaboli@laprovinciacr.it

15 Luglio 2024 - 05:15

Il Capolavoro di Rebecca: «La mia tesi con  Thisability»

Monica, Rebecca e Alberto all’Einaudi il giorno dell’esame di Maturità

CREMONA - Due anni allo Zini in occasione della partite della Cremonese, l’abbraccio dei ragazzi di Thisability, l’emozione fortissima dopo aver raccontato davanti alla commissione d’esame attraverso la sua tesina (il Capolavoro) quel legame stretto col tempo e quel sentimento che va oltre i confini dell’amicizia. Per Rebecca Lazzari, 20 anni, il giorno della Maturità ha avuto un significato molto profondo e per tifosi, oltre ai suoi amici di sempre, anche Monica e Alberto, colonne storiche dell’associazione Thisability. Ed è proprio la neodiplomata che, a distanza di alcuni giorni, rivive quei momenti così intensi.

Rebecca, come è nata l’idea di una tesina su Thisability?
«Dovevo presentare il cosiddetto ‘Capolavoro’, ovvero scegliere uno dei momenti di esperienza esterna vissuto nel periodo scolastico e raccontarlo. Io mi sono affidata a ciò che più mi ha emozionato in questi due anni».

Lo stadio Zini e i ragazzi di Thisability: due aspetti molto significativi.
«Proprio così. All’inizio quando mi è stato proposto di andare allo stadio per il servizio catering, ero titubante. Poi mi sono detta: perché no? Proviamo. E così ho cominciato. Ero al quarto anno, la Cremonese in serie A. Ed è stato lì che ho incontrato i ragazzi di Thisability per la prima volta».

Di cosa vi siete occupati esattamente?
«Io mi sono diplomata in Sala e Vendita. Comprende bar, ristorante, mise en place, marketing. In poche parole, dalla caffetteria alla sala ristorante. Il cocktail più complicato? Il mojito, non c’è dubbio».

Dunque?
«Nell’area hospitality dello stadio ho conosciuto il team di Thisability. In particolare ho seguito Alberto e Andrea. Ogni volta che la Cremonese gioca in casa, si arriva allo stadio e si prepara il catering, dalla A alla Z. Poi, insieme ai ragazzi si porta giù tutto in area Hospitality».

Un lavoro facile o difficile?
«In certi momenti è piuttosto complicato. Ad esempio, ricordo un aneddoto con la Fiorentina. C’erano alcuni tifosi un po’ esagitati arrivati da Firenze, si temeva che portassero via i bicchieri di vetro per farne non so bene quale uso. Ebbene, mentre scendevo le scale, sono stata scortata dalla polizia, per proteggermi da eventuali assalti ai vassoi. Mi ha fatto un certo effetto».

E con i ragazzi di Thisability come è andata?
«Il loro sorriso e la loro forza di volontà sono stati per me una lezione di vita, un grande esempio. Mi accorgevo che qualcosa stava accadendo dentro di me, ma al tempo stesso non me ne rendevo conto fino in fondo, non riuscivo a capire bene che cosa rappresentasse quello stare insieme, condividere certi momenti con loro. Fin quando il campionato è finito e io sono andata a Rimini per lavoro».

Che cosa è accaduto?
«Sono stata là tre mesi, ho lavorato in un albergo a tre stelle. Tutto normale, tutto regolare. Ma lì, durante quelle settimane di lavoro, la distanza e direi pure la lontananza da Alberto, Andrea, Monica e da tutti gli altri mi ha aperto il cuore e la mente».

Cioè?
«Ho capito che sentivo la loro mancanza, mi mancavano molto, ecco. Mentre lo dico, ancora mi emoziono, perché si tratta di un sentimento quasi intimo, difficile da spiegare. Ma loro erano il senso delle cose che cercavo nel mio lavoro, loro con la loro carica e la loro semplicità erano la spinta in più che in quei mesi a Rimini ho capito mi stava mancando e di cui avevo bisogno. E non vedevo l’ora di tornare e di ritrovarli. E così è andata. Abbiamo vissuto anche un’altra stagione insieme, sempre grazie alla scuola (e al professor Dionisi Zoppi in particolare), alla Cremonese, a Thisability. Ed è stato molto bello».

Al punto che la storia è finita nella tesi della Maturità.
«Sì, io ero un po’ in crisi, in ansia, per via degli esami. I ragazzi mi hanno trasmesso forza e coraggio, mi hanno aiutata molto a superare le mie paure. Con la loro forza di volontà e il loro sorriso, ogni giorno, senza mai chiedere nulla in cambio».

Com’è andata la mattina dell’esame?
«Alberto e Monica sono arrivati a scuola, mi hanno vista, ci siamo salutati e mi hanno fatto gli auguri. Poi, sono entrati, si sono seduti dietro di me, insieme a tutti i miei amici. E hanno assistito agli orali. Ho cominciato a parlare del gin tonic (ebbene sì), poi sono arrivata ad esporre la mia tesi sull’esperienza allo Zini con Thisability. Non so come abbia potuto arrivare alla fine perché l’emozione è stata fortissima, credo di aver avuto gli occhi lucidi per tutto il tempo. Quando sono uscita, con Monica e Alberto ci siamo abbracciati in corridoio e abbiamo festeggiato. Non lo dimenticherò mai».

E adesso? Cosa farà Rebecca da grande?
«La scuola è finita, non potrò più andare allo stadio. Lavoro al Cral Asc e nel fine settimana ritrovo i ragazzi. Quanto al futuro, voglio diventare sommelier, il resto si vedrà, ci sto pensando. Di sicuro spero di fare ancora tanta strada insieme a Monica, Alberto, Andrea e a tutti gli altri ragazzi di Thisability, sono e saranno sempre nel mio cuore».

«HO IMPARATO A SORRIDERE ALLA VITA»

Ecco la prima parte della tesina presentata da Rebecca all’esame di Maturità all’istituto Einaudi.

«Per il mio Capolavoro, ho deciso di riportare un'esperienza di stage presso lo stadio Giovanni Zini di Cremona alla quale hanno partecipato anche ragazzi con disabilità fisica e cognitiva. All’inizio ero un po’ spiazzata perché non sono abituata a lavorare con persone che hanno bisogno di supporto sia fisico che morale; poi mi sono resa conto che la diversità arricchisce. Spesso tendo ad abbattersi di fronte alle difficoltà, ma lavorando con questi ragazzi ho compreso che è possibile osservare i problemi da un altro punto di vista, considerarli «non problemi» se affrontati col sorriso e la voglia di imparare.

Carlo un ragazzo con la sindrome di down, sorridente e simpatico che ha allietato il mio lavoro con battute divertenti e piccoli dispetti. Ecco, una delle cose più importanti del mio lavoro è proprio il sorriso, senza non si è completi: il cameriere sorride a tavola, scherza quanto basta perché deve essere presente ma non invadente.

Questa esperienza mi ha inoltre insegnato che bisognerebbe solo ringraziare per l'opportunità che ci dà la vita e sorridere a quelle che non ci dà, perché saremo noi a poter vivere la bellezza di questo lavoro, di poter imparare cose nuove da persone diverse: il lavoro di un cameriere di sala è prima di tutto un lavoro di empatia con il cliente.

Lavorando sul campo ho imparato ad apprezzare sempre di più questo lavoro, non riuscirei mai a cambiarlo; inoltre ci sono persone che credono in me e non mi «mollano»: a queste persone sono infinitamente grata...».

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