L'ANALISI
15 Luglio 2024 - 05:25
Beppe Torrisi sull'ambulanza
CREMONA - Dal padre Mario, appuntato della Polizia di Stato, ha ereditato la passione per quello che era ieri: un poliziotto. La madre, Mirella, crocerossina nei reparti d’ospedale, gli ha trasmesso l’amore per quello che è oggi: un soccorritore esecutore 118 della Croce Rossa. Due vite in una. «Ma lo spirito è lo stesso: spendersi per gli altri. Allora per chi aveva subito un torto e chiedeva giustizia, ora per chi è più fragile e ha bisogno di aiuto».
In polizia Beppe Torrisi, 66 anni, in pensione dal 2018, ci è entrato giovanissimo, subito dopo aver conseguito il diploma di geometra.
«Era il mestiere che mio papà sognava per me. Lo rispettavo molto, ma non la pensavo come lui». Ha preferito seguire la sua strada: dopo Alessandria, Roma, Milano, Brescia e Varese, nel 1981 è tornato a Cremona, dov’è nato. «A quei tempi c’era ancora un lavoro di investigazione pura e preventiva, fondato sul rapporto con le persone e i confidenti, non affidato quasi esclusivamente alla tecnologia e alle intercettazioni, come succede oggi. Ricordo, ad esempio, quelle informazioni carpite in alcuni bar o semplicemente per strada».
Dopo varie esperienze investigative, viene definitivamente assegnato al Gabinetto provinciale di Polizia scientifica divenendone responsabile. Un servizio che sembrava ritagliato su misura per lui. «Sono un tipo pignolo, preciso, metodico. Uno specialista di Polizia scientifica deve basarsi su fatti oggettivi, attraverso la ricerca delle fonti di prova come le impronte, il Dna e così via. Non c’è spazio per fantasie o supposizioni. Alla Scuola di Polizia criminale, un mio superiore ci ripeteva una lezione che non ho mai dimenticato: ricercare e leggere ciò che non si vede». Una lunga carriera, tanti aneddoti da raccontare. Come quella volta che venne chiamato per un omicidio in via Milano. «Era la mattina di Natale: uscii e ritornai a casa la sera del 27 dicembre». Ma forse è un altro il caso di cui va più orgoglioso. «Agosto 1988, Genivolta: un grave delitto che volevano far passare come un efferato stupro. Attraverso un’attenta attività di sopralluogo coordinata dall’Autorità giudiziaria presente sul posto e svolta in sinergia con colleghi dei carabinieri, emersero elementi tutt’altro che evidenti». In questo modo la verità venne a galla e il colpevole scoperto. Torrisi, a lungo e con soddisfazione anche sindacalista, è stato impegnato spesso sul fronte dell’ordine pubblico. Migliaia di fotografie ed innumerevoli ore di videoriprese passate al setaccio per fornire agli investigatori utili elementi di prova a carico dei responsabili di circoscritte azioni violente.
Ha iniziato a fare la sua parte nella Croce Rossa sin da quand’era in servizio. «Trascorrevo il sabato notte sulle ambulanze, non a Cremona per comprensibili motivi di opportunità, per poi smontare e tornare in servizio presso la mia Questura». Si è prodigato ancora di più dopo la pensione. «Andavo in piscina tre giorni la settimana, 1.500 metri ogni volta; facevo 50 chilometri in bicicletta e mi divertivo a giocare a tennis. Risultato: ho smesso tutto». Si è salvata la passione per la moto. Ora il suo tempo lo dedica principalmente al volontariato. «I miei turni fissi di servizio di 12 ore in ambulanza 118 sono il martedì e il giovedì. Mi alzo alle 5 del mattino, perché voglio verificare sempre con accuratezza sia il mezzo sia i presidi in uso. Torno a casa stanco, ma non mi pesa perché mi sento ancora vivo e utile. Mi piace instaurare rapporti di empatia con gli altri, una differente maniera di essere d’aiuto al prossimo». Un’esperienza fatta di generosità e professionalità, di momenti felici ma anche tristi, di dolore e impotenza. Un po’, seppure in maniera diversa, come quand’era poliziotto. «Un giorno siamo stati allertati per un caso di dolore toracico: era un’anziana signora, Maria, sui 90 anni. Continuava a dire al mio capo equipaggio: ‘Mi sento male’. Mentre la portavamo in ambulanza è andata in arresto cardiaco. Ricordo che mentre le stavo effettuando il massaggio cardiaco la chiamavo per nome: dai, Maria, dai. Ce l’avevo lì sotto le mani, ma purtroppo mi è sfuggita. Non so se riesco a descrivere quello che ho provato in quell’istante. Sono momenti che non si possono dimenticare».
In squadra con lui c’è Chamsi Charif, un soccorritore di origine marocchina. «È una persona fantastica, sprigiona un’umanità che raramente ho visto».
Guai a definirli eroi o angeli. «Siamo volontari della Croce Rossa, soccorritori, barellieri senza nessuna intenzione di voler imitare il dottor House o personaggi tv del genere. Ci sforziamo di svolgere con professionalità l’attività di soccorritori per essere gli occhi della SOREU, la centrale del 118. Il volontario colma gli spazi lasciati vuoti da altri. Purtroppo adesso c’è penuria di queste figure, soprattutto di chi lo vuole essere con impegno e massima attenzione. A volte basta semplicemente una parola buona».
Come gli è capitato di fare nella vita precedente. «Se a un’anziana, a una vedova rubano la fede del marito, per lei è un dramma. Allora cercavo di portare anche un po’ di conforto per aiutare a superare il dolore per un torto per lei immenso». Pochi giorni fa una signora gli ha scritto sul suo profilo Facebook: «Voglio ringraziarla pubblicamente per la professionalità e la gentilezza di stamattina quando è venuto da mia mamma quasi centenaria. Grazie anche per la vostra pazienza nei confronti dei parenti».
L'ex sostituto commissario coordinatore della Scientifica ha due fratelli minori, anch’essi nella Polizia di Stato, e due sorelle. «Oggi, siamo tutti impegnati ad assistere nostra madre, che ha 90 anni». Diventato nonno di recente, è circondato dai 10 nipoti e dalle due figlie, di cui una pure lei poliziotta.
Gli capita di guardare, a volte con una punta di amarezza, al passato. «Non mi sono mai tirato indietro, ovunque fossi, anche se questo a volte mi è costato». Ma ora preferisce essere concentrato sul presente. «Una persona da soccorrere è solo un paziente, indipendentemente che sia ricco o povero, giovane o anziano, onesto o disonesto, italiano o immigrato. Adesso non indosso più la divisa blu, ma quella rossa della Croce Rossa Italiana».
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