L'ANALISI
05 Luglio 2024 - 05:15
CREMONA - «Come potrei non esserci?» Quarant’anni, originario di Crema, Gabriele Piazzoni fa parte dell’Arcigay dal 2000 e dal novembre 2015 ne è il segretario generale. La voce dell’associazione, il suo volto. Sarà in prima fila al Cremona Pride di domani e davanti al corteo che attraverserà le vie del centro.
Piazzoni, a quanti Pride ha partecipato?
«Decine, direi. Quest’anno l’Onda Pride, come la chiamiamo noi, ha superato abbondantemente il numero delle 50 manifestazioni e veleggia verso quota 60. Per la precisione, tra maggio e ottobre saranno 57. Tantissime. Non sono mai state così tante come nel 2024».
Dal palco del Milano Pride, pochi giorni fa, ha affermato che «il governo insiste a farci la guerra». Guerra di questi tempi è una parola da pronunciare con cura.
«Mi riferivo a due episodi»,
Il primo?
«Il governo italiano all’ultimo G7 in Puglia ha fatto sparire nel documento finale ogni riferimento ai concetti di identità sessuale e di genere».
Il secondo episodio?
«Il nostro è stato l’unico Paese occidentale a non aver firmato la carta europea che riconosce l’importanza del 17 maggio come giornata internazionale contro l’omofobia. In questo l’Italia è in compagnia di nazioni come l’Ungheria e l’Estonia. Un doppio passo indietro. E c’è di più».
A cosa o chi allude?
«Il ministro alle Pari opportunità Roccella ha detto apertamente che l’unica famiglia a interessarle è quella eterosessuale sposata. Un messaggio chiaro della non volontà di tenere conto altre realtà come le madri single o le coppie divorziate».
Sempre lei ha affermato che il 90 per cento delle persone della comunità Lgbtqia+ hanno subito soprusi o discriminazioni. È un dato credibile?
«Una ricerca dell’Agenzia europea sui diritti fondamentali ha fatto emergere che il 67 per cento dei componenti della comunità Lgbtqia+ è stato oggetto di qualche forma di violenza o esclusione a scuola. Questo avviene anche in altri ambiti sociali come i luoghi di lavoro».
Quali forme di violenza?
«Fisica, più rara, e verbale come la classica offesa a gay che camminano mano nella mano. Il 50 per cento degli omosessuali evita atteggiamenti affettuosi per strada per la paura di reazioni violente. Certo, la situazione è migliorata. Dieci anni fa era peggiore, 20, 30 anni fa ancora di più. La stessa presenza dei Pride in giro per l’Italia è la prova che qualcosa è mutato, ma resta molto da fare».
Perché, dopo la sospensione nel 2023, questo secondo Cremona Pride?
«I Pride sono importanti sempre e ovunque, ma in provincia hanno più senso e più forza».
Per quale motivo?
«A Milano o Roma è più semplice rifugiarsi nell’anonimato, Nelle piccole città i Pride sono qualcosa in più per cambiare la mentalità».
Quali istituzioni hanno aderito al Pride di sabato?
«Il Comune di Cremona, quello di Crema e, cosa che ci ha fatto molto piacere, il Politecnico. Poi parteciperanno partiti del centrosinistra e sindacati: a loro non si chiede di venire, vengono e basta».
Sventoleranno bandiere palestinesi?
«Il Pride è un raduno che difende i diritti umani a 360 gradi. E quello in atto a Gaza è un genocidio».
Un’affermazione forte.
«Non lo dico io, ma la Corte penale internazionale».
Permettereste la presenza di bandiere israeliane?
«Da noi può venire chi e come lo desidera. L'unica cosa che non si può fare al Pride è discriminare gli altri. Per il resto, è tutto lecito: anche la provocazione».
Cosa chiedete allo Stato?
«Due obiettivi tra gli altri: il raggiungimento del matrimonio egualitario come completamento del percorso iniziato con le unioni civili e per garantire a tutte le coppie pari diritti e pari doveri davanti alla legge; la riforma della legge sulle adozioni allargando l’accesso alle famiglie omogenitoriali e monoparentali».
Nel 2022 scoppiarono polemiche furibonde per la statua della Madonna a seno nudo. Bisogna aspettarsi il replay domani?
«Non saprei. Il Pride è libero. Confido sempre nell’intelligenza delle persone e, come dissi anche allora, l’idea di quel manichino non mi era sembrata molto intelligente».
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