L'ANALISI
23 Maggio 2024 - 05:30
CREMONA - Della sua campagna elettorale e nella lista che fa riferimento a lei si parla molto di comunità e di senso di appartenenza. Cosa vuole mettere in evidenza?
«Le sfide che riguardano il futuro di questa città e di questo territorio sono così alte che non impegneranno solo i futuri amministratori locali, chiunque essi siano. Riguarderanno l’intera comunità. Penso, ad esempio, all’inverno demografico e alla necessità di immettere in città nuova linfa vitale, sia economica che sociale. Per fare questo serve uno sforzo corale che coinvolga istituzioni, imprese, associazioni e cittadini. Dobbiamo dare vita ad un nuovo patto di comunità. Individuare insieme le priorità e le strategie più efficaci, tenendo conto dei nostri elementi competitivi, delle risorse disponibili così come delle opportunità e dei vincoli interni ed esterni. Nessuno può sentirsi escluso, nessuno può puntare il dito senza mettersi direttamente in gioco».
Perché parla di vincoli interni ed esterni?
«Il nostro futuro non è solo nelle nostre mani. Sarebbe per lo meno ingenuo immaginare che sia sufficiente riunire la città in assemblea e scrivere un bel progetto di futuro perché poi questo si realizzi. Non tutto dipende da noi, dobbiamo esserne consapevoli. Ci sono vincoli interni ed esterni da tenere in considerazione per costruire azioni concrete e non velleitarie. Penso, ad esempio, che la decisione di Luciano Pizzetti di candidarsi in consiglio comunale vada proprio in questo senso. La sua esperienza di governo e le sue relazioni ad alto livello saranno utilissime per una Cremona che vuole connettersi con le grandi direttrici dello sviluppo».
Azioni concrete e non velleitarie, significa che dobbiamo ridimensionare le aspettative?
«No, significa che gli spazi reali di manovra sono misurabili in gradi e dipendono da quanto bravi saremo nel metterci in rete con gli altri territori con progetti di valore. Ecco perché sorrido (amaramente) quando leggo i proclami del centrodestra che, dal comodo ruolo dell’opposizione, raccontano ai cremonesi favole irrealizzabili. Non saranno creduti perché i miei concittadini hanno un tratto che li accomuna tutti: il senso della realtà, cioè i piedi ben piantati a terra».
Può fare un esempio di ciò che definisce ‘progetti di valore’?
«Certamente sì. Faccio due esempi. Il primo riguarda la ormai prossima riqualificazione dell’ex ospedale come parte integrante del progetto denominato ‘Giovani in centro’, perché prevede di ridisegnare tutta l’area che comprende l’ex chiesa di San Francesco, la Cittadella dei servizi alla persona e il Parco del Vecchio Passeggio, ma anche gli edifici che oggi ospitano il nido San Francesco, la scuola infanzia Martini e la secondaria Campi, oltre a piazza Lodi e piazza Giovanni XXIII, per rigenerare spazi in centro da dedicare ad attività culturali e sociali che coinvolgano in particolare i giovani».
E il secondo?
«Il Festival Monteverdi ha recentemente ottenuto dal Parlamento il riconoscimento di festival nazionale e importanti risorse economiche che renderanno l’evento ancora più unico e attraente. Cremona qui ha saputo giocare un suo valore unico e distintivo, il genio musicale del cremonese Monteverdi, per affacciarsi alla ribalta nazionale ed internazionale proponendo una rassegna di alto livello che parla non solo ai cremonesi ma a tutti coloro che in Italia e nel mondo riconoscono la monumentalità del ‘Divino Claudio’. Questo esempio virtuoso Cremona lo può replicare con tante altre vocazioni e unicità sia del passato che del presente. Penso, ad esempio, all’agro alimentare, ma anche alla grande opportunità del settore universitario resa possibile dagli investimenti realizzati dalla Fondazione Arvedi Buschini. Si tratta di un progetto che punta ad un’idea di sviluppo di qualità della città che ci deve vedere tutti quanti impegnati a valorizzare. Forse dobbiamo credere un po’ di più in noi stessi».
Tornando ai vincoli. Il nostro futuro quindi lo si decide altrove?
«Siamo sempre noi a dover immaginare e costruire il nostro futuro ma tenendo anche conto di tutto ciò che accade anche oltre i nostri confini amministrativi. Le dinamiche dello sviluppo nazionali ed internazionali agiscono anche sulla nostra comunità come vincoli oppure come opportunità. Occorre conoscere questi contesti, frequentarli, incrociarne le progettualità per far giungere a Cremona nuove risorse. Faccio un esempio: Milano è ormai una metropoli di scala europea e oltre. È illusorio pensare che la sua enorme capacità di polarizzare risorse, talenti e opportunità non influenzi in positivo o in negativo anche la nostra traiettoria di sviluppo».
Quindi si muove guerra al ducato di Milano?
«Sono contrario alla guerra. Avere una metropoli europea a meno di cento chilometri di distanza è un’opportunità. Lo sarebbe ancora di più se avessimo collegamenti più rapidi con il capoluogo lombardo, il raddoppio ferroviario potrà dare questa opportunità. Si tratta comunque di entrare in dialogo con Milano e, al contempo, di costruire salde alleanze in Lombardia con le città che intendono continuare ad avere un ruolo attrattivo e non diventare la periferia di qualcosa, anche se di grande. Penso a Brescia e a Bergamo, così come a Mantova. Abbiamo in comune molti temi che possiamo affrontare insieme. Anche con la Regione va aperto un tavolo che valuti la necessità di non polarizzare tutte le opportunità sul capoluogo lombardo o addirittura di non leggere i bisogni con una lente Milanocentrica che differisce dalle esigenze del sud Lombardia. Sarebbe un errore imperdonabile».
C’è chi la vede come il prosecutore dell’esperienza Galimberti, è cosi?
«Devo dire che questa storia della continuità e della discontinuità è solo un’arma polemica agitata dal centrodestra. Le città per avanzare e progredire hanno bisogno sia di tradizione che di innovazione. È fondamentale cambiare per adattarsi al futuro che ci viene incontro, come è prezioso mantenere ciò che di buono si è fatto. Gianluca Galimberti su alcune cose è andato in continuità con Oreste Perri e su molte altre ha dato discontinuità. Trovo tutto questo saggio e rispettoso del bene di una comunità. Questo varrà naturalmente anche per me se i cremonesi mi daranno fiducia. Le faccio un esempio: negli ultimi decenni tutte le giunte comunali di centrosinistra o di centrodestra, così come tutti i sindaci che si sono succeduti hanno confermato il valore di alcune scelte strategiche, penso al teleriscaldamento, al cablaggio in fibra della città o al Polo Tecnologico avviato da un’amministrazione e concluso con un’altra. Chi amministra deve guardare al bene comune, non ad altro».
Quindi ci sarà un Virgilio 1 e non un Galimberti 3?
«È chiaro che voglio aprire una nuova stagione politica, la mia coalizione di centrosinistra è un insieme di esperienza e innovazione, vogliamo andare oltre i perimetri e aprire un dialogo con l’intera città. Credo di aver svolto con lealtà il compito che in questi anni mi è stato affidato. Sono profondamente grato a questi anni, ai colleghi che hanno lavorato con me, ora penso di avere l’esperienza e la conoscenza per dirigere un’amministrazione complessa e articolata come è il comune di Cremona. Se mi sono candidato è perché ritengo di essere portatore di nuove priorità, anche grazie agli obiettivi raggiunti, ma anche di nuove idee per il futuro di Cremona. Ogni sindaco porta sé stesso nel ruolo che svolge, ci mette il suo carattere, le sue esperienze, la sua personalità e il suo entusiasmo».
Se parliamo di un Virgilio 1 allora mi dica cosa cambierà?
«Favorirò il cambiamento di tutto ciò che penso sia giusto debba cambiare per il bene dei cremonesi e non avrò timore a farlo. Dire di voler cambiare tutto come fa il centrodestra è il modo migliore per non cambiare nulla. L’esperienza di questi anni mi ha permesso di apprezzare i successi dell’azione amministrativa così come di comprendere i limiti inevitabili. Desidero ripartire da qui. Dalla consapevolezza che una città per vivere e prosperare deve riuscire a tenere insieme due aspetti: la visione alta e strategica, cioè i grandi progetti di sviluppo e crescita sociale ed economica, con la visione più quotidiana delle aspettative legittime dei singoli cittadini in fatto di decoro urbano, di insicurezza percepita, di solidarietà, di maggiore attenzione al dettaglio. Voglio un’amministrazione più vicina alle richieste del quotidiano, voglio un livello politico capace di tenere insieme la relazione con il singolo cittadino e quella con la classe dirigente allargata di questa città. Dobbiamo alimentare un rapporto più costruttivo con alcuni mondi, penso al terzo settore, all’esigenza di stringere una collaborazione nella quale tanti soggetti privati possano essere non solo attori ma i veri protagonisti di percorsi di coprogettazione. Penso — conclude Virgilio — al commercio e all’opportunità di far sorgere un distretto urbano capace di mettere alla pari il soggetto pubblico e le categorie economiche. Credo infine nel ruolo delle istituzioni pubbliche dentro una funzione di regia e non di soggetto accentratore di iniziative e di progetti».
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