L'ANALISI
28 Aprile 2024 - 05:30
«Le aziende storiche, insediate e radicate nel mercato, dovrebbero sempre più conoscere come valutare le idee imprenditoriali per aiutarle, supportarle e finanziarle, non solo in una fase di lancio, ma anche dopo l’avvio. Dal nostro punto di vista, da parte delle istituzioni e della politica in generale, sostenere le nuove generazioni e fornire loro un aiuto continuativo che attraversi le varie fasi di sviluppo dell’impresa e ne favorisca il passaggio generazionale potrebbe rivelarsi cruciale per il futuro economico del Paese». Con questo accorato appello, Stefano Rossi, presidente del Gruppo Giovani Industriali della provincia di Cremona, su queste colonne ha concluso il lungo e articolato ‘Pensiero libero’ a commento della crisi delle imprese under 35, crollate negli ultimi dieci anni da 3.026 unità a 2.139.
Nonostante il fatto che le giovani imprese siano potenzialmente le più innovative: quante start up nel mondo (moltissime in Italia) hanno effettivamente aggiunto contenuti originali in termini di qualità e creatività, soprattutto in riferimento alle nuove tecnologie? Dopo aver enucleato le cause più evidenti come l’inverno demografico, la fuga all’estero dei cervelli, il nodo del ricambio generazionale, la mancanza di sostegni reali anche da parte del Governo a chi vuole intraprendere, punta il dito su una questione che potremmo definire culturale che caratterizza il mondo delle imprese italiane. Sostenere le start up innovative, spiega efficacemente, significa costruire il futuro. E invece «siamo abituati a vedere Equity che investono, spesso senza contribuire con know how ma mera speculazione finanziaria».
Invece, spiega ancora Rossi, «servono le nostre imprese a dare il corretto supporto alle start up perché anche questo significa trasferire le competenze e lavorare sempre più in un’ottica di open innovation». Senza contare che le start up in Italia ‘valgono’ 2,7 miliardi di euro in termini di fatturato e 24mila posti di lavoro altamente qualificato e ‘intelligente’.
La start up è per definizione dello stesso ministero dello Sviluppo economico, innovativa, giovane, ad alto contenuto tecnologico, con forti potenzialità di crescita. E di utili. Pensiamo per esempio a Netflix, piattaforma dell’intrattenimento oggi milionaria presente in tutto il mondo (190 Paesi e in trenta lingue) con il suo straordinario catalogo di di serie tv, documentari, film e giochi: è nata nel 1997 come start up e la sua mission iniziale era inviare dvd a noleggio ai propri abbonati. C’è stato chi ha dato fiducia: nel 2002 è stata lanciata un’offerta pubblica al prezzo di un dollaro per azione, l’anno successivo aveva in portafoglio un milione di contratti di abbonamento, diventati cinque nel 2006, 50 nel 2014 e raggiungendo quota cento milioni nel 2017. Oggi produce anche serie tv e film da Premio Oscar. Quel dollaro per azione si è moltiplicato in modo esponenziale. A investirlo molti risparmiatori ma soprattutto imprese che hanno creduto nell’idea iniziale.
Le idee vincenti targate Cremona non mancano: ne diamo spesso conto sul giornale. Scuole superiori e università cittadine lanciano concorsi e premiano progetti. Come ‘Mentecalda’, tra i vincitori del concorso ‘Innovazione e Nuova Imprenditorialità: le competenze per generare start up di valore’, bandito dall’istituto Ghisleri. A realizzarlo sono stati Matteo Cesari, Daniele Gabor, Simone Ruggiero, Camilla Tadi e Intessar Khedr della classe quinta A Sia, coordinata dalla professoressa Luisella Bianchini. ‘Mentecalda’ è la coperta che grazie all’intelligenza artificiale assicura un sonno tranquillo e continuo mentre monitora i parametri vitali. È solo uno dei molti esempi di progetti innovativi targati Cremona. Troveranno imprenditori lungimiranti pronti a scommettere su queste idee giovani? Oppure finirà come quasi sempre accade: i migliori lasceranno l’Italia per andare a raccogliere finanziamenti e allori altrove?
Solo negli ultimi due mesi sono state 144 le start up italiane atterrate nella Silicon Valley con le loro idee, aggiungendosi ad altre centinaia che hanno fatto lo stesso percorso negli ultimi anni. Creatività e intelligenza italiane ‘regalate’ all’estero solo perché in casa non riescono a trovare adeguata attenzione da un mondo spesso troppo autoreferenziale.
Qualcosa, a onor del vero, si muove. Per esempio il progetto ‘Sviluppo mille’ della Libera Associazione Artigiani di Crema, che offre mille giorni di consulenza, gestione e assistenza alle piccole imprese. Ma è l’intero sistema che dovrebbe credere di più nelle nuove generazioni.
Un secondo stimolo di riflessione per il mondo imprenditoriale di casa nostra è arrivato nei giorni scorsi da Mauro Guarneri, sempre da queste colonne. Presidente e amministratore unico della Rgm e alla testa del Consorzio Energy Api di Cremona, in un’intervista pubblicata martedì scorso ha lanciato il sasso: «Dovremmo essere più aperti e fiduciosi, più disposti a fare squadra, capaci noi di attrarre giovani da fuori per farli sentire protagonisti e coinvolgerli in un processo di crescita. Se una pmi vuole tenere il passo di mercati sempre più competitivi ed esigenti, non ha vere alternative alla partecipazione a reti d’impresa o filiere industriali. Quelle che ti permettono di andare in giro per l’Italia e per il mondo con le tue eccellenze a fare e vincere gare d’appalto».
Il riferimento è anche a quanto avviene o sta per avvenire in casa nostra. Un esempio: le infrastrutture che prima o poi saranno da fare. Come, per esempio, l’autostrada Cremona-Mantova, il nuovo ospedale, i ponti, il raddoppio ferroviario. Perché non farle noi? si chiede Guarneri. Investimenti milionari appetibili per grandi marchi non solo italiani. Il ragionamento è semplice: se ragioniamo come singola impresa, non c’è storia, i colossi in arrivo da fuori sono destinati a vincere gli appalti, se si mettono in rete anche i cremonesi possono provare a dire la loro.
Guarneri e Rossi, in fondo, dicono la stessa cosa: fare rete è avere il coraggio di investire su idee innovatrici e di aprirsi a partnership senza le quali non si possono cogliere nuove occasioni di business e di ricchezza per l’intero territorio. Anche così si può provare a ‘riscaldare’ l’inverno demografico: creando nuove occasioni di lavoro qualificato, che possono generare redditi rassicuranti per giovani che intendono mettere su famiglia ma sono frenati dalla paura del futuro. O Cremona e l’Italia vogliono continuare a non essere un Paese per giovani?
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