L'ANALISI
14 Aprile 2024 - 05:30
Accade a Piacenza, a due passi da casa nostra. La scena è quella di un grave incidente stradale appena avvenuto, che purtroppo è poi costato la vita a una donna. Nell’immagine si vede un passante, un ragazzo sui vent’anni, che si scatta un selfie con lo sfondo di un’altra persona ferita gravemente a terra, circondata dai soccorritori che cercano di aiutarla. Il giovane autore di quello scatto, finito sui suoi profili social, si è poi allontanato prima che gli agenti potessero fermarlo per identificarlo. L’immagine, ovviamente diventata virale in poche ore, è del giornalista Stefano Pancini del quotidiano ‘ilPiacenza.it’.
Accadeva mercoledì scorso e il fatto ha riportato alla mente un episodio analogo del maggio 2018, quando — sempre a Piacenza — mentre sui binari il personale del 118 stava soccorrendo una donna ferita in quanto da poco investita da un treno, un giovane si fece un selfie. Tutto documentato dalla foto del giornalista Giorgio Lambri del quotidiano ‘Libertà’. Alla donna poi è stata amputata una gamba. Il giovane autore del selfie è stato bloccato dalla Polfer, identificato e costretto, non senza un po’ di proteste, a cancellare le fotografie dallo smartphone. Nell’immagine, tra l’altro, mentre con una mano regge il telefonino, con l’altra sembra fare la ‘V’ di vittoria.
«Due immagini che Piacenza non merita», commenta Gian Luca Rocco su Libertà. Due immagini che il senso di umanità non merita, si potrebbe dire allargando il discorso. Due scene che fanno riflettere sull’uso dei telefonini e dei social, sempre più perverso e finalizzato non già alla comunicazione tra esseri umani (come invece dovrebbe essere), ma all’autoesaltazione di sé e al tentativo di trovare un quarto d’ora di celebrità. Ancorché in una galleria dell’orrore.
«Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti» preconizzava con l’intuito dei geni Andy Warhol (va detto che c’è chi ritiene che il grande artista, personaggio tra i più influenti del XX secolo, abbia scippato quelle parole al fotografo Nat Finkelstein, di certo Warhol ha avuto il merito di farla ‘volare’ in tutto il mondo). Una frase talmente iconica da essere stata incisa sulle mura del New York Museum of modern art nel 1970. Una notorietà, proseguendo nel ragionamento, che non è raggiunta, necessariamente, con azioni meritevoli o grazie al proprio genio e alla creatività, ma può essere ottenuta da chiunque compia un quid ritenuto originale da gran parte della società. E cosa c’è di meglio per individuare questo ‘quid’ nella galleria degli orrori rappresentata dal porsi sulla scena terrificante di una tragedia? Una possibilità amplificata dall’avvento delle nuove tecnologie, dal boom dei social, dalla facilità che ormai c’è nel gettare in pasto al mondo dei guardoni il peggio di sé per ottenere fama. Ignobile, ma pur sempre fama.
Ecco allora che di fronte a una rissa diventa un’urgenza accendere il video del telefonino e riprenderla anziché armarsi di coraggio e intervenire per cercare di sedarla. Riprenderla e lanciarla nell’etere. È successo e continua a succedere anche qui da noi, in provincia di Cremona. Quante volte abbiamo dovuto registrare situazioni di questo tipo negli ultimi anni? Troppe. A Cremona, nei paesi, a Crema e nel Cremasco, nel Casalasco. Piacenza, come è ovvio, non ha l’esclusiva di tanta pochezza umana. Il bisogno di conquistare un posto al sole dei social aguzza le fantasie più perverse.
Da manuale il caso, finito in tribunale lo scorso settembre, del necroforo sardo specializzato in riesumazioni e tumulazioni chiamato a rispondere del reato di vilipendio di cadavere, autore di due macabre immagini diffuse sui suoi social e ovviamente diventate virali: prima di avviare due salme alla cremazione, le ha estratte dalle bare mettendole in posa ‘agghindate’ una con una sigaretta in bocca e l’altra con lattine di birra sul petto, per poi farsi il maledetto selfie con ‘effetti speciali’ piazzandosi in posa accanto a loro. Terribile. E orribili sono i molti commenti e i moltissimi ‘like’ ottenuti con questa messinscena. Macabra nel macabro, persino surreale, è stata la tesi dell’avvocato difensore del necroforo, che ha parlato di «necessità tecnica» (ma questa è un’altra storia).
Da commedia del teatro dell’assurdo, capace di suscitare un sorriso (amaro) nonostante il senso tragico della vicenda. La fotografia della stazione valse a Giorgio Lambri una notorietà mondiale: era finito perfino sulla Cnn e sulla Bbc. Oggi non farebbe più notizia. Perché il fenomeno è diventato talmente esteso da non rappresentare più un’eccezione. Eppure sono passati soltanto otto anni. E allora dobbiamo, tutti, chiederci dove stiamo andando. Fermarci a riflettere e capire i motivi di questa degenerazione.
Da sempre il cosiddetto turismo dell’orrore è fonte di attrazione, quello che porta a visitare luoghi teatro di tragedie, in luoghi associati alla morte. Come dimenticarsi delle migliaia di persone che nelle loro gite domenicali puntarono su Cogne per vedere la villetta dell’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi? Il cinismo è una delle componenti di molti uomini. Catartica è la soddisfazione di cercare la scena di episodi brutali sapendo che è toccato a qualcun altro e non a noi. Irresistibile quando si incappa in un incidente stradale il desiderio di fermarsi per ‘godersi’ la scena.
«Gli esseri umani non sono angeli, hanno una parte buona e una cattiva. Tutto sta nel capire quale delle due addestriamo», scrive Rutger Bregman, 37enne filosofo olandese considerato uno dei giovani pensatori più influenti del nostro secolo, nel suo libro ‘Una nuova storia (non cinica) dell’umanità’ nel tentativo di ribaltare il concetto e proporre una visione alternativa a quella dominante secondo la quale la storia come la conosciamo tutti è estremamente cinica, fatta di persone fondamentalmente cattive, peccatrici, disoneste, egoiste. Si chiede: e se le persone fossero intrinsecamente buone? La sua tesi è che gli esseri umani siano in realtà predisposti alla gentilezza e alla collaborazione; sulla base di questa nuova convinzione, possiamo provare a riflettere in modo diverso su come sia possibile sviluppare un atteggiamento basato sulla fiducia.
«Se cominciamo a crederci, sono convinto che una visione positiva dell’umanità possa diventare ancora più realistica», afferma. Porsi il problema può essere il primo passo per relegare all’angolo dell’umanità chi va cercando notorietà sulle disgrazie altrui. Si può fare. In generale, Bregman chiama a riflettere sul fatto che l’utopia non è irraggiungibile. In fondo, alcuni valori che oggi diamo per scontati, per esempio democrazia o abolizione della schiavitù, a suo tempo venivano considerate chimere.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris