L'ANALISI
20 Febbraio 2024 - 05:30
CREMONA - Storicamente, e anche oggi, con la definizione ‘oro nero’ si intende universalmente il petrolio. Avanti di questo passo anche un derivato dal processo di raffinazione del greggio come il bitume rischia di diventare altrettanto prezioso. Una pesantissima escalation dei prezzi nell’ultimo anno ha portato ad un costo del nuovo asfalto, che arriva a 98 euro al metro quadrato, insomma sfiora i 100mila euro al chilometro. Un salasso che stanno sperimentando sulla loro pelle, o meglio sui conti degli enti pubblici e dunque, in ultima analisi, dei cittadini, anche gli amministratori cremonesi.
La Provincia in primis, che ogni anno si trova a dover rifare decine di chilometri di strade. «I costi variano a seconda della tipologia di interventi – conferma Matteo Gorlani consigliere provinciale delegato alla Viabilità –: la fresatura più il rifacimento del tappeto è legata alla quantità di rimozione del materiale. Solitamente si scende sino a tre centimetri di spessore del materiale da rimuovere. In casi in cui la strada è più rovinata, si può arrivare sino a cinque centimetri. I prezzi che abbiamo dovuto sostenere l’anno scorso erano più o meno in linea con quelli applicati anche nel resto della regione. In sede di gara si riesce a scendere di un 10-15% rispetto al preventivo. Nel 2023 abbiamo speso oltre 4 milioni di euro per le manutenzioni delle strade, indicativamente intorno agli 80mila euro al chilometro. Purtroppo si prevedono anche per quest’anno prezzi in aumento».
Anche il Comune di Cremona dovrà fare i conti con queste cifre ormai fuori controllo. «Sul nostro territorio ci sono 370 chilometri di strade da manutenere – esordisce Simona Pasquali, assessore alla Mobilità – ed è evidente che le risorse che vengono drenate dal bilancio siano sempre maggiori ogni anno che passa, proprio per far fronte a questi continui incrementi dei prezzi. Le difficoltà non mancano. Per quanto ci riguarda cerchiamo comunque di fronteggiare le necessità, intervenendo sulle strade in condizioni peggiori». I Comuni devono procedere secondo priorità, spesso solo con rappezzi. Anche un metro in più di asfalto è diventato ormai un costo sensibile. «Solo per la tangenzialina ad aprile investiremo 500mila euro in asfaltature», conclude Pasquali.
Cinzia Fontana, vicesindaco di Crema e assessore al Bilancio, conferma le difficoltà. «I prezzi sono aumentati in maniera esponenziale e da verifiche effettuate tramite l’ufficio tecnico siamo arrivati a 98 euro al metro quadro come costo medio per il rifacimento dell’asfalto di una strada che ha una carreggiata di sette metri». L’anno scorso, ad esempio, per i cantieri estivi lungo le vie Treviglio, Verdi e in un tratto di via Visconti erano stati spesi 230mila euro. Quest’anno sono pronti altri 488mila euro, ma chiaramente si dovranno aggiungere risorse. Tra i principali problemi da affrontare con la primavera, c’è, ad esempio, la strada secondaria che da via Visconti porta a Ripalta Vecchia. Già rovinata di suo, era stata martoriata negli anni scorsi dai lavori di interramento delle linee e di rimozione dei vecchi pali della luce, peraltro attesi da tempo. Enel aveva poi provveduto a ricoprire gli scavi, ma adesso il lungo e stretto rettilineo è completamente da rifare. Lo strato di tappetino superficiale, i famosi tre centimetri di bitume, dovrà essere posato in primavera. La via, tra l’altro, è molto frequentata dai ciclisti durante la bella stagione, visto che conduce al santuario del Marzale, luogo di culto storico e di valore artistico. Nelle domeniche d’estate, la strada è chiusa alle auto.
Il mondo dell’edilizia fa i conti con i rincari delle materie prime, il che significa, tanto per gli enti pubblici quanto per le aziende private, aumenti di prezzo per l’asfalto. La produzione a partire da ghiaie, sabbie e bitume è un procedimento che impiega grandi quantità di energia per scaldare l’aggregato e pertanto non può che risentire, proprio come i cittadini che hanno visto lievitare i costi delle bollette, dei rincari sul prezzo dell’energia. Ma lo scenario sembra essere più complesso e portare a conseguenze sorprendenti: oggi come oggi la posa di un chilometro d’asfalto possa arrivare a costare anche centomila euro. Per immaginarsi cosa si intende basti pensare ad un tratto di strada lungo come il ponte sul Po: oltre al problema viabilistico, la manutenzione comporta comunque dei costi elevatissimi che rischiano di renderla ancor più improbabile.
«Noi abbiamo già scontato l’aumento dei prezzi – spiega il direttore di Aem, Marco Pagliarini – quando siglammo, cinque o sei mesi fa, i contratti tutt’ora vigenti. Diciamo che se non altro da allora lavoriamo ad un prezzo che rimane fisso, stabilito da quegli accordi di fine estate, senza subire ulteriori aumenti dati dalle oscillazioni del mercato».
L’azienda, ‘braccio operativo’ del Comune per le manutenzioni di strade e marciapiedi, segnaletica e verde pubblico, si occupa di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sul territorio e lavora sulle strade quotidianamente.
«Vanno distinti gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli di natura straordinaria — continua Pagliarini — specificando che per i primi intendiamo in particolare la copertura di buche, segnalate dai nostri tecnici o dai cittadini, mentre i secondi consistono nel rifacimento di interi tratti di manto stradale. Per questi ultimi i costi salgono notevolmente: quando viene individuato un tratto su cui intervenire bisogna farlo con il taglio, la fresatura e la posa del nuovo strato di asfalto. Sono lavori che necessitano di un materiale lavorato ad alte temperature, che va scaldato e posato, mentre per coprire le buche, compatibilmente con la stagione, possiamo utilizzare l’asfalto a freddo, dai costi di produzione notevolmente inferiori».
Rincari che colpiscono anche il settore privato dell’edilizia e delle costruzioni: «È indubbio che i costi sono aumentati — spiega Paolo Beltrami, presidente di Ance Cremona e titolare della Paolo Beltrami Spa — e le ragioni sono molteplici, anche se in tanti nominano unicamente l’inflazione. Io non credo che si tratti solo di questo: dobbiamo considerare che veniamo da un periodo in cui le crisi si sono sommante, susseguendosi una dopo l’altra: prima il Covid ha imposto una brusca frenata, poi con le guerre si è alzato il prezzo delle materie prime e dell’energia e tutto questo ha avuto ricadute altissime sul comparto dell’edilizia. E poi ci sono da considerare gli incentivi a ristrutturare, rinnovare e costruire legati a misure politico-economiche nazionali ed europee: prima con il bonus 110 poi con i progetti connessi ai finanziamenti del Pnrr si sono aperti cantieri un po’ in ogni dove e si sono alzate sensibilmente le richieste di materiali e forniture, il mercato è stato drogato in un periodo ristretto di tempo, la domanda è aumentata e i fornitori ne hanno tratto vantaggio aumentando i prezzi. Ci sono poi da registrare gli aumenti del prezzo del lavoro siglati dal contratto collettivo nazionale dell’edilizia, un elemento che si somma al tema delle materie prime quando si parla di prezzi finali».
Un quadro già complesso, insomma, nel quale però a pesare maggiormente è indubbiamente l’aumento vertiginoso del prezzo delle materie prime, in particolare del bitume. Per farsi un’idea di cosa si intenda per ‘aumento’ basti considerare che se a ottobre una tonnellata costava 285 euro ora invece oscilla tra i 600 e i 700 euro. Già nel 2022, a pochi mesi dall’esplosione del conflitto in Ucraina, Ance denunciava un aumento del costo dei prezzi del bitume superiore al 60%, poi tradottosi un’escalation che ha portato gli aumenti a toccare il 600%. Oggi la situazione sembra ripresentarsi: «Il bitumato — spiega Beltrami — è un elemento fondamentale per produrre l’asfalto ed è proprio questo ad essere al centro dei rincari. Si tratta di uno scarto della lavorazione del petrolio, prodotto nella raffinazione di benzina e gasolio: è quindi evidente che, come sono aumentati i costi di questi ultimi, anche il materiale edilizio ne abbia risentito».
Il caso ci dà prova tangibile di come quel che succede nel mondo abbia, prima o poi, conseguenze dirette tanto sui cittadini quanto sulle imprese. Cosa implica questa situazione? Come già successo nel 2022, il rischio è quello che molti cantieri si fermino dal momento che le aziende potrebbero non essere più in grado di sostenere le spese per le materie prime e le conseguenze finirebbero per ricadere su tutti i cittadini: uno stop del settore significherebbe interrompere lavori di manutenzione di strade e altri cantieri dei lavori pubblici, di interesse collettivo.
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