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LE STORIE DI GIGIO

«Tra vette e animali io sento cos’è la pace»

Stefano Sivieri, il giovane zoologo cremonese che ha lasciato il Po per le Alpi

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

12 Febbraio 2024 - 05:20

«Tra  vette e  animali io sento cos’è la pace»

Stefano Sivieri

CREMONA - Ci sono lavori affascinanti e fuori dal comune che fondono l’amore per la natura, la passione per la montagna e il senso d’avventura. Magari anche un pizzico di follia. «Sono fortunato a fare uno di quei lavori», dice Stefano Sivieri, 29 anni. È uno zoologo, un tecnico faunistico che ha lasciato il Po e la pianura per le Alpi: studia la storia, l'evoluzione, le abitudini, i comportamenti e i bisogni degli animali. Sale in alta quota, da solo o in squadra con un altro collega, anche di notte, in mezzo alla neve, armato di binocolo e cannocchiale custoditi nello zaino, per appostarsi, censire e classificare (suddividendoli tra maschio o femmina, cucciolo o adulto, solitari o in gruppo) in un’area circoscritta cervi e camosci, cerbiatti e stambecchi. 

cervi

Stefano è un giovane cortese, disponibile, ironico. Ha sempre avuto le idee chiare. «Da piccolo mi portavano a tagliare i capelli da un barbiere che aveva un locale con la televisione per i bambini: gli altri guardavano i cartoni animati, io cercavo i canali che trasmettevano documentari sugli animali. Quelli veri. Volevo diventare paleontologo o guardia forestale».

Ha coronato, in qualche modo, il suo sogno sostenendolo con un fisico da atleta. «Ho praticato un sacco di sport, soprattutto il ciclismo a livello agonistico. Per la ‘gioia’ dei miei genitori che ogni fine settimana mi dovevano accompagnare fuori provincia o anche fuori regione». Ha smesso nel 2013.

Dopo il diploma allo Stanga, si è trasferito a Edolo («Dietro casa avevo i cervi») iscrivendosi all'Università della montagna. «Ne avevo sentito parlare per la prima volta in una di quelle estati che noi ragazzi dell’oratorio di San Michele trascorrevamo a Vico». Da allora, come dice lui, «montagna, montagna, montagna». Ha poi frequentato l'Università degli Studi dell'Insubria, presso la quale, dopo la laurea triennale, ha conseguito quella magistrale, con una tesi sulla marmotta nel Parco dello Stelvio. Continua a vivere a ridosso delle Alpi, ma a Varese. «Non in città ma nei boschi intorno», precisa. Ed è da lì che parte per le sue ‘spedizioni’ legate alla realizzazione di progetti finalizzati al monitoraggio e alla conservazione delle specie animali, progetti commissionati in prevalenza da enti pubblici ma anche da privati.

stefano


In jeep, fuoristrada o pick-up, Stefano sale sin dov’è possibile, poi si mette in cammino lungo sentieri più o meno battuti per giungere alla meta: il luogo d’osservazione. Nei pressi, una baita, un rifugio dove riposarsi. Spesso, però, si ritrova in mezzo al nulla. In questo caso dorme in una tenda minuscola. Ma quel mondo intorno fatto di silenzio e infinito non lo spaventa. «Amo la solitudine. Cosa provo in quei momenti? Cosa sento? Pace». Le operazioni di un censimento possono protrarsi anche per due settimane, come quelle per lo stambecco delle Alpi Orobie. «È una procedura complicata perché si tratta di un animale che vive a grandi altezze, sino ai limiti dei ghiacciai, e ha incredibili capacità mimetiche».

Il giovane zoologo è specializzato nello studio degli ungulati, i mammiferi con le dita munite di zoccoli, ma si occupa anche di altre specie. «Stavo partecipando al rilevamento della pernice bianca a Morbegno, in Valtellina. Il ritrovo era alle 23.30. Dopo il primo, breve tratto in auto, a mezzanotte, con gli scarponi e la torcia sulla fronte, ci siamo avviati per essere sul posto alle 3.30 perché la pernice bianca comincia a cantare ed è quindi visibile intorno alle 4, poco prima o subito dopo l’alba. Se ne vedono qualche decina in un anno. Alle 8.30 mi sono addormentato sui sassi».

Bisogna allenarsi costantemente ed essere in forma. «Un’escursione impegnativa è intorno ai 20 chilometri. Ne ho fatto una, da solo, di 40 in mezzo alla neve. La vera differenza sta nel dislivello del terreno». Ci si muove in ambienti non facili. «Dovevo seguire lo stambecco in Val d’Ossola. Periodo natalizio, una mattina: in basso la temperatura era meno 20 gradi e in alto, con il vento, meno 25».

Occorre mettere in conto l'imprevedibilità del tempo. «Il meteo svizzero, di solito precisissimo, anticipava forti perturbazioni in una zona vicino a quella dove mi trovavo. Invece il temporale si è scatenato proprio sopra la mia testa. Mi sono messo a correre per rifugiarmi in una grotta e ripararmi dai fulmini. I peggiori sono quelli d’estate, ad alta quota». C’è anche il rischio di incontri ravvicinati indesiderati. «Dal buio, a una trentina di metri da me, sono sbucati due occhi. Li ho illuminati con il fascio di luce della lampada frontale: era un lupo. Ho urlato per spaventarlo, ma non si è mosso di un centimetro. Ho urlato di nuovo: ancora niente. Poi se n’è andato per conto suo scomparendo. No, non è stata una cosa simpatica».

Stefano ama tutti gli animali, ma più degli altri il camoscio, l’oggetto della sua prima tesi di laurea. «La scena più emozionante di questi anni è stata a Edolo in un giorno d’estate: c’era una femmina di camoscio con il suo piccolo che giocava rotolandosi su una scia di neve. Scendeva e risaliva. Me lo ricordo come fosse ieri».

Dopo il lavoro sul campo, comincia quello al computer: la raccolta di dati si trasforma in relazioni e statistiche che verranno pubblicate su riviste scientifiche.

L'ex studente dello Stanga è anche accompagnatore di media montagna. Vale a dire, può condurre le persone su terreni escursionistici a qualsiasi altitudine, esclusi quelli dov'è necessario impiegare attrezzature alpinistiche. Ha ottenuto il titolo dopo aver frequentato un corso molto selettivo. Inoltre, fa attività di formazione. «Mi piace anche l’aspetto divulgativo del mio mestiere».

È reduce da un incidente mentre andava per funghi. Non è stata una cosa leggera, ma ora se la ride. «Sono scivolato facendomi male. Era già buio. Sono sceso a valle camminando per due ore quasi su una gamba sola».

Anche se la caviglia non è ancora guarita del tutto, sta comunque organizzando qualche trekking guidato per i clienti. «Il primo censimento in programma è, a metà aprile, quello della coturnice, uno dei galliformi alpini». Gli è capitato di monitorare anche il gallo forcello, chiamato così per la particolare forma curva della coda del maschio. «Per vederlo bisogna aspettare anche quattro ore, immobili, nella neve alta sino alla vita». Lassù, vicino al cielo.

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