L'ANALISI
15 Gennaio 2024 - 05:15
Giorgia Stagnoli
CREMONA - È andata a lezione di danza moderna, ascolta musica italiana e inglese, ha uno stuolo di amici on line. È una giovane come tante. Ma la distingue una passione: la criminologia. E un sogno non meno speciale: «Fare la poliziotta stando in prima linea». Non c'è da stupirsi se si è laureata con una tesi su un argomento come il narcisismo patologico, anticamera, spesso, dello stalking e del femminicidio.
La svolta per Giorgia Stagnoli, 22 anni, si è materializzata un mattino al liceo linguistico Manin, la sua scuola. «Sono venuti a presentarci la facoltà di Mediazione linguistica di Mantova, sezione distaccata dell’Università di Firenze. Mi è piaciuta molto». Non tanto per gli approfondimenti linguistici quanto per le loro applicazioni in campo sociale. Materie come sociologia della criminalità organizzata, psicologia criminale, diritto penale penitenziario, sociologia e devianze. «Ho deciso di iscrivermi. Al mio corso eravamo una ventina di studenti, quasi tutte ragazze. All’inizio mi sono sentita catapultata in un mondo che non conoscevo, ero un po’ intimorita. Ma sapevo che era quella la mia strada».
In quei tre anni si è preparata agli esami leggendo libri sulle donne di mafia o ascoltando con gli altri compagni l’intervista in diretta realizzata dalla sua docente con Raffaele Sollecito, l’ingegnere informatico protagonista di uno dei casi di cronaca nera più discussi, prima accusato dell’assassinio di Meredith Kercher e poi definitivamente assolto. La studentessa universitaria ha portato tra le mura di casa i suoi interessi culturali. «Non mi sono persa su Netflix i documentari dedicati ad Emanuela Orlandi e, ogni tanto, seguo Chi l’ha visto?. Mi affascinano, mi spaventano e allo stesso tempo mi fanno pensare le vicende delle persone che spariscono senza che se ne comprenda il perché».
Tra un corso e l’altro ha sostenuto i test per entrare nella polizia. «Ma non sono stata scelta perché non avevo ancora una laurea». E così ha continuato a fare la pendolare con Mantova. Salvo i mesi estivi di tirocinio trascorsi presso la casa circondariale di Ca’ del Ferro. «Accompagnavo gli educatori, tre soltanto per una popolazione di 400 detenuti, nei colloqui con i carcerati. Non potevo porre domande dirette, mi limitavo ad assistere. Una realtà, quella dietro le sbarre, che non mi sarei aspettata così difficile. È stata un’esperienza intrigante, ma mi ha aiutato a capire che il mio lavoro non può essere quello».
Ha conseguito brillantemente la laurea triennale lo scorso 6 ottobre. Il suo relatore, la professoressa Barbara Bononi, fa la psicologa per il tribunale. «Mi sono impegnata a fondo cominciando a gennaio a scrivere la tesi». Una copertina bianca, 81 pagine stimolanti incentrate su un tema mai così sotto i riflettori come il narcisismo patologico.
«Si tratta di un disturbo di personalità. Il narcisista vede gli altri unicamente come strumenti da poter manovrare e sfruttare a proprio piacimento. L’unica forma di amore che conosce è quella della fusione totale con l’altro, in cui quest’ultimo non si ricava una propria autonomia, ma esiste in qualità di oggetto che alimenta l’autostima lesa del partner. Il bisogno di esercitare potere e il disprezzo per l’umanità altrui possono degenerare in atti violenti».
Per lei, è un narcisista patologico Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. «Come noto, c’erano già stati vari segnali in questo senso. Uno dei problemi principali è che non vengono mai colti. Anche la minaccia di suicidio era una forma di pressione psicologica per far sentire in colpa Giulia. Forse è facile dirlo adesso, ma fossi stata una sua amica non l’avrei fatta andare tranquillamente da lui quell’ultima sera. Filippo ha premeditato l’omicidio e, secondo me, non mostrerà mai rimorso».
Un capitolo, interamente in lingua spagnola, della tesi analizza l’escalation di femminicidi a Juarez, la città messicana, ai confini con gli Stati Uniti, regno dei cartelli dei narcos.
«Questa ondata di crimini ha scatenato indignazione, ma anche proteste, sia a livello locale che globale, portando ad una maggiore attenzione su questo fenomeno nell’intera America Latina».
Giorgia porta avanti gli studi per arrivare alla magistrale e si è iscritta alla facoltà di Analisi della criminalità e sicurezza dell’Università Cattolica di Milano. «Rispetto a Mantova è molto più improntata verso le materie scientifiche». Sosterrà il primo esame tra poche settimane. Ma non dimentica il suo vero obiettivo. «Potrò fare un altro tentativo per entrare in polizia. Avevo pensato anche all’ipotesi della magistratura, ma l’ho accantonata perché bisogna aver frequentato giurisprudenza».
Il padre, Pietro, che lavora nell’azienda di famiglia, la sostiene; la madre, Stefania, economa in una Rsa, non la ostacola. «E poi la figura della donna in uniforme non è più rara come una volta. Penso di avere il carattere giusto per questa carriera, papà dice che assomiglio a un generale. Sono molto quadrata, una che non fa sconti. Nel senso di andare senza scorciatoie verso la verità, per quanto brutta possa essere. Vorrei dare una mano ad arginare i problemi delle persone».
Il mattino dopo non c’è lezione, l’esperta in stalking e femminicidi è attesa da una serata con la sua compagnia. «Ci sono tanti ragazzi della mia generazione che hanno un’idea sbagliata della relazione con la loro ragazza. Di storie simili ne sento spesso e tutte le volte mi chiedo come si possa voler bene a chi si comporta in questo modo. Ho visto varie mie coetanee stare male per partner che non provavano nessuna empatia nei loro confronti e il cui unico scopo era sfruttarle. Le ho consigliate di lasciarli. Ma non sempre ci si riesce perché è molto difficile uscire da un amore tossico». È già una fortuna avere un’amica come lei.
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