L'ANALISI
08 Gennaio 2024 - 05:25
CREMONA - A destra del presbiterio una piccola porta di legno. Oltre, il breve corridoio immette in una stanza lunga e stretta, uno scrigno nascosto di arte e religione che è anche un mondo particolare dove sofferenza e compassione, lacrime e preghiere, luce e buio si sono intrecciati per secoli. È la cappella dei giustiziati, all’interno della chiesa di san Girolamo: qui i condannati a morte passavano la loro ultima notte prima di essere condotti al patibolo. Un luogo che trasuda storia e umanità chiuso da tempo ma che finalmente verrà riaperto al pubblico.
Dal 2021 monsignor Carlo Rodolfi, canonico effettivo del Capitolo della Cattedrale, ha il compito di prendersi cura di san Girolamo, ‘sussidiaria’ della Cattedrale (il cui parroco è don Antonio Bandirali), il gioiello con pianta a croce greca costruito nel 1386 che sorge nel cuore della città medievale. Come spiega la professoressa Luisa Bandera Gregori, «la congregazione laica di Nostro Signore Crocifisso, costituitasi probabilmente a seguito del fervore religioso suscitato dalla presenza di san Bernardino, che nel 1420 predicò a Cremona per cinquanta giorni di seguito, aveva ottenuto da Venturino Marmi, eletto vescovo della città nel 1423, la facoltà di riunirsi in San Girolamo».
Questa confraternita, che nel 1610 si aggregò a quella di san Giovanni Battista Decollato, aveva iniziato a prestare assistenza spirituale ai carcerati destinati alla forca o al rogo, incitandoli al pentimento perché ottenessero il perdono divino. Tutto questo si svolgeva tra le mura affrescate con tre finestre che si affacciano sul vicolo San Girolamo e con altre due porticine, una collegata allo stesso vicolo, l’altra alla chiesa. «Sono molte le persone giunte dall’estero espressamente per vedere questo luogo. Quanti invece tra i cremonesi sanno della sua esistenza? Comunque, si è deciso di dare l’opportunità della visita tra un po’ di tempo, quello necessario per renderlo accessibile», dice una guida speciale come don Carlo. La prima volta che il custode di san Girolamo è entrato nella cappella è rimasto colpito dalla vivacità delle decorazioni pittoriche, opera di Giovanni Battista Zaist, che la arricchì in quel modo nonostante la sua destinazione funebre. «Appena arrivato ho voluto vederla. Non c'è un angolo, uno spazio vuoto: fiori, scale, paesaggi, che esprimono la vita là dove sembrava prevalere la morte».
Sopra l’altare la tela racchiusa in una cornice dorata, attribuita ad Angelo Massarotti, rappresenta la Vergine e San Giovanni che adorano il grande crocifisso del XVII secolo scolpito in legno. Sul soffitto in muratura un brano in latino tratto dalla Lettera ai Romani di San Paolo: 'Ubi abundavit delictum, superabundavit et gratia' (Dove abbondò il delitto, soprabbondò anche la grazia). Ma è stata un’altra scritta ad attirare ancor di più la curiosità di don Carlo, quella incisa con tre croci sulla botola di marmo, al centro del pavimento in cotto, per la sepoltura dei condannati: ‘Jus mortem, Deus vitam, Caritas sepulcrum’. Che significa: la legge ha dato la morte, Dio la vita, la carità la tomba.
I confratelli, indossando un abito bianco e il cappuccio, accompagnavano con le torce accese i prigionieri sino al patibolo, che sino al XVI secolo veniva montato nelle attuali via Palio dell’Oca e piazza Stradivari. A notte inoltrata, andavano a prendere i loro corpi per poi seppellirli nella chiesa. Provvedevano anche alle pratiche di suffragio con le preghiere e la celebrazione delle messe. «Erano un po’ gli antesignani dei nostri cappellani del carcere», li definisce don Carlo. Per la pietà esercitata in questo ufficio, nel 1628 le confraternite ottennero da Filippo IV di Spagna, del cui regno Cremona faceva parte, la facoltà di liberare ogni anno due condannati, uno salvandolo dalla forca, l’altro dalla prigione.
«Mi sono detto tra me: è comunque bello che quegli uomini e quelle donne non fossero soli nel momento di presentarsi a Dio», commenta don Rodolfi. Con quale stato d’animo, colpevoli o innocenti che fossero, avranno affrontato quegli istanti, con quali sentimenti, con paura o rassegnazione? Con lo stordimento del condannato a cui dà voce Victor Hugo? 'Ho chiuso gli occhi, li ho coperti con le mani e ho cercato di dimenticare, di dimenticare il presente nel passato. Mentre sogno, i ricordi dell'infanzia e della giovinezza mi ritornano uno a uno, dolci, calmi e radiosi come isole fiorite sopra l'abisso, di pensieri confusi e bui che mi turbinano nella mente'. O con la fede della Maria Stuarda cara a Friedrich Schiller? ‘Sono pronta a penetrare nell'eternità. Prima che le lancette abbiano compiuto sul quadrante il giro di un’ora, apparirò davanti al tribunale del mio giudice’.
L’ultima volta che il boia si è dato da fare è stato nel 1809. Da allora la cappella non ha più ospitato giustiziati. La porticina che la separa dal resto della chiesa sta per tornare a spalancarsi. «San Girolamo, una perla, è magnifica; la cappella decisamente meno. Ha un interesse simbolico, un fascino legato al viaggio finale dei disgraziati che vi sono stati rinchiusi», osserva Roberta Raimondi, esperta guida turistica. Chissà, in futuro quelle mura antiche eppure ancora capaci di suscitare brividi ed emozioni potrebbero diventare una cornice per eventi culturali come la presentazione di libri o rientrare in circuiti turistici particolari. Roberto Fiorentini, instancabile narratore della Cremona di ieri e di oggi, afferma che «il recupero di un luogo della memoria è un fatto rilevante». Don Carlo concorda.
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