L'ANALISI
11 Dicembre 2023 - 05:25
CREMONA - Si scusa per il piccolo ritardo. «Ero da un mio vecchio cliente. È da tempo su una carrozzina, non può muoversi». Dario Lucini, 79 anni, in pensione da tre, lo storico barbiere di via Mantova 37 conosciuto un po’ da tutti in città, è il volontario del pettine e delle forbici che taglia i capelli ad anziani e malati. «Non chiedo niente. Dico: decidete voi». Nato a Pescarolo, a Cremona ci è arrivato da bambino, terminata la quinta elementare. «Il precedente titolare del negozio ha visto che ero bravo e mi ha voluto accanto. Dopo pochi mesi facevo già le barbe: avevo 11 anni. Soltanto a 16 ho cominciato a guadagnare qualcosa. Mi ricorderò sempre: 5mila lire alla settimana».
L’ex garzone ha acquistato il laboratorio, come attestava il documento affisso orgogliosamente alle pareti del suo locale, il 17 aprile 1967 perché il principale si era ammalato. «Oltre a mettermi in proprio, a 22 anni mi sono anche sposato. Lo zio di mia moglie mi ha aiutato anticipando una parte della somma necessaria per rilevare l’attività, che poi piano piano ho restituito. Ho sempre seguito i corsi di aggiornamento a Milano, via Dogana numero 2. Una volta ho partecipato a una gara di acconciature classificandomi al secondo posto su 120 concorrenti. Facevo anche le permanenti quando c’era questa moda. Allora i parrucchieri cremonesi in città erano un'ottantina, adesso molti meno. Ho trascorso 66 anni tra quelle mura. Mai un’assenza, nemmeno quando avevo la febbre. Sempre presente».
Compreso il lunedì. Non con rasoio e spazzola, ma con scopa e stracci per fare le pulizie. «Non era una bottega, ma un salotto, frequentato da appartenenti a tutte le categorie, dall’operaio al giudice, e da personaggi incredibili. Come Ulderico, un rappresentante di dolciumi che abitava a Trigolo: ogni tanto vado a trovarlo al cimitero. O Sergio, uno spettacolo. O, ancora, Pietro, un idraulico di Grontardo che faceva ridere tutti. Le persone mi dicevano: si entra tristi e si esce felici. Il sabato mattina, in particolare, era uno spasso, un momento dedicato alla pettinatura per la domenica. Cose d’altri tempi che sono sparite». Immancabili, in un angolo, c’erano i giornali.
«Quattro, sempre quelli: Oggi, Eva Express per gli appassionati del gossip, Gazzetta dello Sport e La Provincia. Un barbiere dev'essere anche uno psicologo, quasi come un prete perché i clienti gli raccontano i loro segreti e i loro guai». Si sono affidati alle sue mani sapienti anche volti famosi. Come il giocatore argentino Gustavo Dezotti. «L’ho servito per tutto il suo periodo alla Cremonese: aveva i capelli lunghi e ricci, chiedeva lo shampoo, mai la barba». O Pietro Anastasi, il centravanti della Nazionale. «Si trovava in città da un elettrauto, e ne ha approfittato per mettersi in ordine. No, Mondonico non veniva, ma eravamo amici». Sono entrati da lui anche attori. «Due protagonisti di Beautiful, in visita a Cremona e diretti in Sicilia. Non ricordo i loro nomi. Un altro avrebbe chiamato i fotografi, io me ne sono rimasto in silenzio».
Il coiffeur innamorato della sua professione ha chiuso il 31 dicembre (il giorno del suo compleanno) del 2020. «C'era il Covid, ma l’ho deciso soprattutto per stare vicino a mia moglie, Rosa, un anno meno di me, che ha qualche acciacco». Da allora il marito ha anche più tempo per dedicarsi alla sua passione. «Dietro casa, vicino al centro, possiedo un orto e un frutteto, 700 metri quadrati di terra, tante piante: albicocche, prugne, pere, mele, cachi». Ma non ha mai deposto del tutto i ferri del mestiere. «Continuo a recarmi da chi sta male. Erano una decina, qualcuno non c'è più. Sono rimasti Ivan, paralizzato a causa di un ictus; Antonio, 92 anni, faceva l'oste ed è cieco; ed altri, tutti tra gli 80 e i 90. Quando hanno saputo che avrei smesso, mi hanno telefonato: Dario, come faremo? Li ho rassicurati che non li avrei abbandonati».
È stato di parola. «Prendono appuntamento e io mi presento puntuale come un orologio svizzero». Si ferma da loro più del tempo necessario per svolgere il suo lavoro. «Hanno voglia di parlare, magari si sentono soli e io li ascolto volentieri. Non chiedo niente in cambio. Allora mi dicono: se non prendi qualcosa, mi offendo. I soldi non li butto, ma non li cerco. Ho la fortuna di avere un po' di salute e così regalo loro questa soddisfazione. È una cosa che mi sento qui, in fondo al cuore, è il mio modo di fare del bene». Il suo modo di fare dopo ma anche prima della pensione. «Una persona era ricoverata in ospedale. Tra una visita e l’altra ho dovuto aspettare tre ore per poter tirare fuori le forbici Anche allora non ho preteso nulla. Sua moglie è passata dal negozio lasciando una busta con 50 euro».
Da chi non poteva ci andava, lucidati gli specchi del suo esercizio, la domenica o il lunedì, giorni di chiusura. «Da uno di loro per vent'anni, sino all'ultimo». Il parrucchiere a domicilio sembra appena sceso dalla poltrona di un suo abile collega. «Io taglio i capelli a mio cugino, Giorgio, e lui a me». Davanti alle vetrine del suo negozio riaperto da un giovane parrucchiere, ci è tornato solo un paio di volte. «Mi emoziono, è più forte di me. In via Mantova sono nato e in via Mantova, professionalmente parlando, sono morto». Ma no, ci sono quelle persone che hanno bisogno di lui. «È vero. Prima di Natale farò il giro di tutti quanti». Per una sforbiciata e una parola buona.
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