L'ANALISI
26 Novembre 2023 - 05:30
Da oggi nulla sarà come prima. È una sensazione forte quella che sale osservando la grandissima reazione registrata in ogni angolo d’Italia alla tragedia di Giulia Cecchettin, la 22enne di Vigonovo, in provincia di Venezia, sequestrata e uccisa dall’ex fidanzato, Filippo Turetta. Due ragazzi di buona famiglia, uno diventato assassino dell’altra. Certo, nel dibattito che si è scatenato non sono mancate prese di posizione con ragionamenti, concetti e idee improponibili e inaccettabili. Insomma, sullo stile del ‘ma come era vestita?’, la retorica, purtroppo classica ma becera, domanda che una donna violata si sente fare, anche in un tribunale. Il dito d’accusa è quello di benpensanti convinti che un centimetro di gonna in più o in meno sia il confine oltre il quale si entra nel campo della provocazione e giustifichi la prevaricazione violenta. No, fortunatamente questa volta l’ondata emotiva per un fatto tanto scellerato sembra destinata a produrre frutti che dureranno nel tempo. Non come in altre occasioni in cui la riprovazione collettiva è poi sfiorita lasciando spazio all’oblio. Ne è dimostrazione la grande partecipazione popolare alle moltissime iniziative organizzate da più parti per dire «no» alla violenza sulle donne. Migliaia i cremonesi di tutte le età scesi in campo per «urlare», come ha chiesto la sorella di Giulia, contro la violenza di genere. Complice il grandissimo successo dello splendido film di Paola Cortellesi ‘C’è ancora domani’, la cui proiezione ha scatenato applausi spontanei del pubblico di centinaia di sale cinematografiche, l’humus culturale del Paese si è mostrato pronto a reagire con forza all’ennesimo femminicidio, termine orrendo per una pratica orrenda, scatenando la reazione per consapevolezza, sentimento destinato, si spera, a non restare effimero.
D’altra parte i numeri del fenomeno parlano chiaro: secondo il rapporto ‘Sicurezza della casa’ redatto da Verisure per conto del Censis e del Ministro degli Interni, sono state oltre cento le donne uccise dall’inizio dell’anno. Continuando nel macabro conteggio: nel 2022 sono stati registrati 6.239 casi di violenza sessuale, segnando un +19,3 per cento rispetto all’anno precedente, i femminicidi sono saliti a quota 126 (+5 per cento) e gli episodi di maltrattamenti in famiglia sono stati ben 24.570. Sempre secondo il rapporto, quasi una donna su quattro teme di poter essere vittima di violenza sessuale. E questa è solo la punta dell’iceberg: quante sono le donne che non riescono a trovare il coraggio di denunciare per paura o semplicemente perché non saprebbero quale altra via di sopravvivenza economica avere in caso di allontanamento del marito/compagno violento? Probabilmente la larga maggioranza, purtroppo.
La provincia di Cremona non fa eccezione. Nel 2022, stando ai dati del Centro anti violenza di Aida, sono state 78 le donne assistite e nei primi sei mesi di quest’anno sono state già 41. Donne con figli, spesso a loro volta vittime di violenza (29 i casi trattati). Violenza fisica, sessuale, economica, psicologica, stalking formano il quadro di brutalità e prevaricazione. A questi numeri si devono poi aggiungere quelli di altre realtà fortunatamente attive in tutta la provincia, che offrono analogo sostegno alle vittime. Elena Guerreschi, presidente di Aida, si impone di leggere questi numeri non solo in chiave pessimistica: «Che i dati sul fenomeno siano sempre più preoccupanti è fuori discussione, ma la maggiore emersione del problema significa anche un’altra cosa. E cioè che si denuncia di più: le donne chiedono più aiuto rispetto al passato, perché sanno come fare e perché hanno compreso che c’è un’alternativa». È così grazie anche alla riforma che ha introdotto il cosiddetto Codice rosso, che si applica anche ai reati in forma tentata (come il tentato omicidio o la tentata violenza sessuale) ed estende l’obbligo di arresto in flagranza per chi viola il divieto di avvicinamento alla persona offesa.
È poi stato potenziato il servizio del 1522, il numero telefonico anti violenza e stalking sempre attivo e gratuito da chiamare quando si è in difficoltà. Rispondono operatrici specializzate nel gestire le richieste di aiuto. Così come si è diffuso l’uso della app Youpol della polizia di Stato, nata per segnalare episodi di spaccio e bullismo che è stata estesa anche ai reati di violenza che si consumano tra le mura domestiche. L’Sos può anche essere lanciato attraverso una telefonata a una qualunque delle forze dell’ordine per ordinare una pizza dando il proprio indirizzo. In realtà si tratta di un messaggio cifrato inviato senza insospettire l’aggressore, ma che dovrebbe mettere in allerta l’operatore facendogli capire che c’è un atto violento in corso e che serve aiuto urgente. Richieste di soccorso ‘mute’ che hanno già salvato più di una donna.
Si dice che il bisogno aguzza l’ingegno. Ecco allora che ha preso piede in tutto il mondo anche un altro segnale d’allarme: lo chiamano Signal for help, segnale d’aiuto, un gesto internazionale creato durante la pandemia di Covid 19, fase in cui si è dovuto registrare a livello globale un forte aumento dei casi di violenza domestica a causa dell’isolamento imposto dalle regole sanitarie (l’altra faccia del lockdown), pensato per essere fatto molto velocemente, in video chiamata, dalla finestra o dall’auto: mostrare il palmo con il pollice piegato all’interno piegando poi le dita sul pollice e chiudendo successivamente la mano. Pochi giorni fa una ragazza di Bergamo è stata salvata dopo essere stata abbordata in un fast food milanese da un uomo che la stava costringendo a seguirlo. Con quali intenti è facile da supporre. Un segnale forte del cambiamento del clima generale rispetto alla violenza di genere è arrivato dalla politica, con il via libera all’unanimità al disegno di legge del governo contro la violenza alle donne e l’approvazione, sempre bipartisan, di due ordini del giorno targati Pd.
Contemporaneamente il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha presentato il progetto ‘Educare alle relazioni’ dedicato agli studenti, per affrontare, come ha spiegato lui stesso, «il tema del maschilismo, del machismo e della violenza psicologica e fisica sulle donne». La scuola fa già molto in termini di educazione al contrasto della violenza di genere, per chiederle un ulteriore sforzo sarà necessario dotare il sistema di adeguati finanziamenti. Vedremo.
A proposito di educazione, posto che la famiglia resta il primo e più importante presidio, fa tirare un sospiro di sollievo il successo del Cam, Centro uomini maltrattanti, attivo anche in provincia, a Castelleone per la precisione, rivolto a chi ha deciso di intraprendere un percorso di cambiamento, assumendosi la responsabilità di violenze fisiche, psicologiche, economiche, stalking. In seguito all’ammonimento del questore l’uomo viene messo in condizione di scegliere, responsabilmente, la possibilità di intraprendere un percorso virtuoso di recupero. L’anno scorso a Cremona sono stati 22 e, come assicura Fernanda Werner, psicologa del centro, si sono sottoposti a un periodo di cura che va da un anno a 16 mesi, con alte percentuali di successo . Non è solo per evitare la galera che lo fanno, tanto che «molti tornano per dirci che hanno riconosciuto fra i loro amici i comportamenti sbagliati nei confronti delle donne». Perché educare è meglio che prevenire. Così come non ci si deve voltare dall’altra parte se si assiste a episodi di violenza.
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