L'ANALISI
23 Ottobre 2023 - 13:00
Il macellaio Oriano Ruggeri
CREMONA - Il bancone è deserto, le luci spente, la vetrine vuote. Oriano Ruggeri, 87 anni, uno dei macellai più conosciuti della città, è rimasto nel suo spazioso appartamento al piano di sopra. «Questo è un mestiere faticoso e io non ho più le forze necessarie per andare avanti. Mi dispiace molto, ma devo lasciare per motivi di salute», dice, quasi scusandosi. No, stavolta non ci saranno ripensamenti com’era invece accaduto nel 2017 quando, dopo 68 anni ininterrotti nello storico negozio di via Aselli, era andato in pensione e aveva abbassato la saracinesca per rialzarla dopo pochi mesi. «A casa mi annoiavo e così ho riaperto», ricorda. Il gesto insolito aveva destato clamore suscitando l’interesse di giornali, radio e televisioni, incuriositi dall’anomalia della decisione e precipitatisi a intervistare quel commerciante basso, vispo, affabile che, stanco dell’ozio, era tornato a indossare il grembiule e il cappellino immacolati.
Ruggeri si è mosso tra braciole e cotechini, capponi e insaccati sin da ragazzino. «Ero il garzone di mio cugino, Nerviano. Ho passato i primi due anni a fare le pulizie e solo dopo ho potuto prendere in mano i coltelli». A 19 anni ha rilevato la bottega di fronte alla chiesa di San Sepolcro e da lì non si è più spostato. «Alle 5.30 andavo a comprare la carne nelle grandi celle frigorifere dall’altra parte di Cremona e la portavo qui sui carretti, a piedi». Erano in quattro. «Io, mia sorella Carla e i miei due primi dipendenti, Sandro e Tullio. Ne ho cambiati molti di giovani: chi si è messo in proprio ma ha poi cessato l’attività e chi si è lasciato tentare dai supermercati. Tra i nostri clienti c’erano i familiari dei pazienti ricoverati nel vecchio ospedale di piazza Giovanni XXIII e servivamo la clinica delle Ancelle. Tenevamo aperto anche la domenica. Le persone uscivano dalla messa delle 7, venivano in bottega e compravano non a etti, ma a chili. Allora si contavano complessivamente 67 macellerie mentre ora, dopo il boom dei centri commerciali, si sono ridotte a 13-12 a dir tanto. Ce n’erano quattro solo nel mio quartiere, in una manciata di metri quadrati: una in via Robolotti, un’altra in via Ingegneri, un’altra ancora qui in via Aselli, vicino al pub, e la mia. Eravamo in tanti, ma vendevamo tutti».
In seguito, Oriano è stato affiancato dalla moglie, Giancarla, 79 anni, che gli dava un aiuto prezioso stando alla cassa. Ora, seduta al tavolo dell’ampio salone, dice: «Ci siamo sposati nel 1965 e pochi giorni fa, l’11 ottobre, abbiamo festeggiato il 58° anniversario di matrimonio». Il marito era andato in pensione a 65 anni, ma anche allora non aveva smesso. Lo avrebbe fatto molto tempo dopo, affiggendo un cartello con scritta rossa su sfondo bianco, il 19 luglio 2017. Poi era partito per la sua casa al mare, in Liguria. «Ma non stavo bene, c’era in me qualcosa che non andava. Mi sembrava di essere in prigione». Rientrato in città, aveva messo in un angolo, finita l’estate, quel cartello e ripreso a tagliare bistecche. Con una differenza soltanto rispetto al passato: «Tenevo aperto solo il mattino per concedermi un riposino il pomeriggio. Meglio non esagerare. Ma avevo lo stesso entusiasmo degli inizi».
Con la sua forza e l’affettuoso sostegno della moglie, che gli è accanto anche in questo periodo non facile, ha trascorso indenne i mesi del Covid. «Né io né lei, grazie a Dio, siamo stati contagiati. In questo modo, essendo il nostro un negozio di alimentari, abbiamo sempre lavorato». Sino alla metà dello scorso luglio. «La decisione era già stata presa da qualche tempo, quando si sono presentati i primi problemi di salute. Pensavo: ne riparleremo dopo le vacanze, a settembre, ottobre, anche perché c’era da smaltire le scorte nelle celle frigorifere. Ma in fondo sapevo che la realtà era un’altra». E così è arrivato l’ultimo giorno al bancone. «Com’è stato? Uno stop normale. È adesso che comincio a provare un po’ di nostalgia. Se stessi bene, continuerei. Ma purtroppo non è possibile, e mi ci devo abituare».
A non essersi abituati sono i suoi clienti. «Mi chiedono: Oriano, è vero che se ne va? Stavolta sì, rispondo. Non molli, mi incitano. Non posso, ripeto io a malincuore. Sono tutti dispiaciuti. Come lo è quella signora che mi ha telefonato da un paese della provincia di Brescia per ordinare, in vista del Natale, la solita lingua salmistrata. Per qualche ragione non l’aveva potuto fare l’anno scorso e si era dovuta accontentare di quella comprata in non so quale bottega. Ma non era buona come quelle che facevo io e che non erano gonfiate. C’è rimasta male perché anche stavolta dovrà rinunciare ai miei prodotti. Per le feste, di lingue, ne vendevo un sacco, anche una ventina».
La sua simpatia è sempre contagiosa. Ad essersi spento un po’ è il suo sorriso. «I medici mi incitano a camminare, camminare. Quando me la sento, esco di casa e vado ai giardini». Una vecchia abitudine non è cambiata. «La domenica pomeriggio mi reco in auto di là dal fiume per giocare a briscola in un bar di Castelvetro Piacentino con tre amici». Il macellaio di via Aselli scende la lunga scala che conduce al negozio di sotto. In realtà, il freezer è ancora in funzione, anche se quasi vuoto. «Conservo i salumi, la gallina che sono andato a prendere da un nostro conoscente in campagna e qualcos’altro. Sono le provviste per la famiglia. Il negozio, di nostra proprietà, è grande una settantina di metri quadrati: ci sono tante botteghe qui intorno, se qualcuno fosse interessato, siamo qui. Un’altra macelleria? Mi sembra difficile». Affida un messaggio: «Ringrazio di cuore i tanti clienti che ci sono rimasti affezionati sino all’ultimo. È anche per loro se non potrò mai dimenticare tutti questi anni trascorsi in una bella zona e ricchi di soddisfazioni». Lo aveva detto anche prima di togliere il disturbo in precedenza, per pentirsene e rimboccarsi le maniche quasi subito. Ma una seconda volta non ci sarà. «È anche vero che questo momento doveva arrivare. Prima o poi».
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