L'ANALISI
22 Ottobre 2023 - 05:30
Si fa alla svelta a liquidare la faccenda con un moralistico «sono quattro bambocci ricchi e viziati, con tempo e denaro a volontà, che non hanno valori», riferendosi a una delle notizie che hanno tenuto banco sulle prime pagine di tutti i giornali nelle ultime settimane relativo ai calciatori che scommettono anche su partite che li hanno visti protagonisti.
I nomi di Nicolò Fagioli, Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo sono i più ricorrenti, ma l’elenco, dicono i soliti bene informati, potrebbe essere molto ma molto più robusto.
«Il 90 per cento dei calciatori gioca d’azzardo», dichiara allarmato Francesco Baranca, segretario generale di Federbet, l’organizzazione internazionale che lotta contro le scommesse illegali nello sport. Una sorta di malattia professionale della categoria se, come ha confessato un calciatore della Premier League inglese intervistato per una ricerca dei Dipartimenti di Neuroscienze del Karolinska Institutet di Stoccolma, di Psichiatria dell’Università di Oxford e di Psicologia dell’Imperial College di Londra, «scommettere mi dava lo stesso entusiasmo, la stessa eccitazione del gol e della vittoria. Un brivido a cui potevo accedere senza limiti e che mi ha tolto ogni freno».
I maggiori e più recenti studi sul fenomeno, spiegano che il rischio di cadere nella ludopatia riguarda tra lo 0,5 e lo 0,8 per cento dei cittadini europei, ma sale all’incredibile quota del 13 per cento tra i calciatori professionisti.
Secondo un’indagine della Luiss di Roma, un conto è la malattia sociale che in Italia affligge 1,5 milioni di persone, un altro la responsabilità personale in una categoria, quella dei calciatori professionisti appunto, che registra un alto tasso di gestione sbagliata dei propri guadagni: 5 anni dopo il ritiro, il 60 per cento risulta essere indigente. Ed è anche una questione di preparazione culturale.
Viene da chiedersi perché si lasci cadere nella rete della ludopatia uno sportivo di successo, abituato a guadagni milionari. La risposta a sensazione è: per noia, per voglia di provare qualcosa di diverso, non certo per la prospettiva di un ulteriore arricchimento. Quella dello specialista è più articolata. Spiega Lorenzo Castelli, psicologo specialista in gioco d’azzardo patologico: «Prima di tutto è bene sottolineare che bisogna valutare situazione per situazione, ma in generale si può dire che chi è ludopatico non lo fa soltanto per il guadagno ed evidentemente chi ha già una professione che gli garantisce un certo stipendio ancor meno lo fa per una questione di soldi, ma diventa più una questione di ricerca di sensazioni forti: la scommessa, l’attesa, la gratificazione della vincita che può essere immediata. E poi c’è la rincorsa della perdita, cioè se io perdo grosse somme ho un bisogno incontrollabile di andarle a recuperare, a vincerle. Ma sappiamo bene che il gioco d’azzardo, per definizione, non è sotto il nostro controllo, ma è qualcosa che dipende dal caso, dalla fortuna, per cui non si riesce a colmare la perdita con le scommesse successive».
Come è evidente, i calciatori non si affidano alla dea bendata con la speranza di vincere soldi, quanto piuttosto per l’adrenalina che ne scaturisce. E il sistema sembra spettatore impotente, se non addirittura connivente.
L’Italia ha adottato una legislazione assai rigorosa per regolare la pubblicità delle attività legate al gioco d’azzardo. Il decreto ‘Dignità’ del luglio 2018 vieta «qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro» effettuata su qualunque mezzo di comunicazione e durante le manifestazioni sportive, artistiche o culturali. Ma in televisione e online viene regolarmente aggirato. Per esempio con la diffusione di siti di notizie sportive gestiti dagli stessi bookmaker e con la comparazione delle quote dei risultati prima delle partite. Una società di scommesse online è perfino sponsor di due club di Serie A.
Gabriele Gravina, presidente della Figc, nei giorni scorsi ha definito «piaga sociale» le scommesse dei calciatori, mentre solo pochi mesi prima si era schierato a favore del «diritto sacrosanto» di cancellare i limiti del decreto ‘Dignità’.
Ma a scommettere, legalmente e illegalmente, non è solo chi scende in campo. Milioni di italiani lo fanno. Da qui l’esigenza di analizzare il fenomeno del gioco d’azzardo da un punto di vista sociale. E di allargare lo sguardo all’intera popolazione, su un fenomeno che, come ci hanno spiegato gli esperti cremonesi, è in preoccupante aumento non solo tra giovani milionari, come i calciatori.
Al Serd di viale Concordia c’è un incremento di pazienti under 30. I casi sono esplosi tra il 2022 e quest’anno. In termini assoluti non si tratta di grandi cifre, ma se nel periodo pre pandemico, i giovani con questa patologia seguiti dal Servizio dipendenze erano un paio l’anno, nei primi nove mesi di questo 2023 sono già 11.
«Dieci maschi e una ragazza, tra cui quattro sono minorenni – conferma Roberto Poli, direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze dell’Azienda socio sanitaria territoriale –: l’anno scorso avevamo sette pazienti, tre nel 2021. Insomma in pochi mesi sono quadruplicati». E loro sono solo la punta dell’icerberg.
Rivolgersi a un centro di cura specializzato significa aver già fatto un primo, decisivo, passo nella consapevolezza del proprio problema e dunque nella determinazione a curarlo. A farlo è una esigua minoranza. Si calcola che in provincia di Cremona i malati di ludopatia siano almeno 8mila. Che significa 8mila famiglie in crisi, 8mila stipendi bruciati ogni mese.
Il rapporto ‘Il gioco legale in Italia: il valore sociale ed economico del gioco’ realizzato da Lottomatica e Censis presentato lo scorso giugno, evidenzia come la speranza di vincere soldi sia accompagnata dal desiderio di vivere un’esperienza divertente ed emozionante, che a volte sorpassa anche il mero aspetto economico. Dal rapporto è emerso che il 47% degli intervistati ha giocato a uno o più giochi legali nel corso dell’ultimo anno tra Lotto, Lotterie, Superenalotto, scommesse sportive e no, Bingo, giochi online e slot machine. Si tratta in tutto di circa 23 milioni di italiani, «la dimostrazione – secondo Lottomatica e Censis – che il gioco è un’attività insita nella cultura e nella quotidianità degli italiani, praticabile in maniera responsabile, misurata e sana».
Dati alla mano, però, il controllo sulle pulsioni è sempre più incerto. Pur trattandosi di un fenomeno trasversale, giocare coinvolge soprattutto i giovani (65,2 per cento) seguiti dagli adulti (56,7 per cento), e in misura molto minore gli anziani (16,5 per cento). Il gioco piace soprattutto agli uomini (54 per cento), ma è molto sviluppato anche tra le donne (40,4 per cento). Il rapporto accende inoltre i fari sull’avanzata del gioco online, in linea con l’ascesa del digitale che si è verificata con il lockdown. Tra coloro che giocano, il 56,4 per cento lo ha fatto online nell’ultimo anno (17,2 per cento spesso, il 39,2 per cento qualche volta). Il restante 43,6 per cento di chi ha giocato legalmente nell’ultimo anno, invece, non lo ha mai fatto online. Sotto il profilo generazionale, sono soprattutto i giovani a giocare online (il 74,7 per cento, di cui il 20,1 per cento spesso). A preoccupare è dunque la diffusione del gioco in rete, non sempre legale.
Nel Libro blu 2021, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli testimoniava un’incessante crescita del settore giochi. Con la raccolta dal gioco di nuovo risalita dopo la flessione nel 2020: 110,4 miliardi di euro nel 2019, calata a 88,2 nel 2020 per poi risalire nel 2021 a 111,17 miliardi, con un incremento di oltre il 25 per cento e superiore anche al periodo pre-Covid. Spesso amici e famigliari di un ludopatico tendono a coprirlo ad aiutarlo dopo essersi lasciati manipolare da lui. Errore dettato dal cuore, ma da matita rossa: «Non indebitarti per nascondere il problema del giocatore o per calmarlo durante una crisi. L’unico aiuto che puoi dargli è al fianco di un professionista», spiegano gli esperti. La prima mossa per risalire la china è la consapevolezza del problema. I passi successivi saranno quelli giusti.
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