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IL PUNTO

Più sani e più belli, ma forse... più poveri

L'industria cosmetica, in termini di sostenibilità, si trova in una situazione di incoerenza normativa con gli altri Stati dovuta a una carente legislazione europea che ne pesa sul fatturato. È quanto emerso all'Innovation Day di Crema

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

15 Ottobre 2023 - 05:30

Più sani e più belli, ma forse... più poveri

Ci sono poche cose che chiunque faccia impresa chiede alla politica. Tra queste è prioritaria la certezza delle regole e la loro condivisione. Premessa indispensabile per poter andare avanti, gestire il presente e investire per progettare il futuro. La loro assenza è una tra le maggiori cause di disincentivazione agli investimenti. L’incertezza e la volatilità delle regole generano sfiducia, fanno perdere posti di lavoro e restringono gli orizzonti. E se questi orizzonti sono il mondo intero, come nel caso del settore dell’industria del packaging della cosmesi (centrale e strategica per l’economia cremonese e cremasca in particolare), alle prese con un grave problema normativo, le regole condivise devono essere sovranazionali.

Anche in questo trova la propria ragione di esistere l’Unione Europea. Anzi, si può dire che essa sia nata proprio per questo, andando poi successivamente a estendere il proprio campo di intervento. Un sogno ‘antico’, il trattato di Roma che istituisce il Mercato Comune Europeo venne firmato il 25 marzo 1957 e stabilisce la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali su tutto il territorio dei sei Paesi aderenti (Francia, Germania Ovest, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), poi come si sa l’Unione si è allargata agli attuali 27 ‘associati’. La cosiddetta armonizzazione tecnica europea, oltre a favorire la libera circolazione delle merci, tende ad assicurare un contesto tecnico comune e favorisce la competitività industriale in particolare per le nuove tecnologie.

A partire dal 1985, la tecnica legislativa comunitaria non è più puramente tecnica e dettagliata, bensì funzionale, determina i requisiti essenziali dei prodotti (definendoli in modo omogeneo, ma ampio), descrive le esigenze che deve soddisfare, individua gli organi competenti alla normalizzazione e le modalità standard per procedere alla valutazione di conformità. Ma se le norme non svolgono sino in fondo il loro compito, a rimetterci fatturato e futuro sono le imprese nazionali. Un allarme in questo senso è arrivato dalla tavola rotonda dedicata ai temi della sostenibilità organizzata all’interno dell’Innovation Day organizzato dal Polo della cosmesi a Crema. Proprio da quel confronto è emerso come ci sono «storture e esagerazioni, in un percorso condiviso da tutti, ma che deve essere tarato sulle esigenze del sistema cosmetico».

Invece c’è una situazione disomogenea in cui l’industria del packaging deve fronteggiare richieste incoerenti e contraddittorie che ne ostacolano la vocazione internazionale. A puntare il dito, il Gotha del settore.

Sul palco Matteo Moretti, presidente del Polo, Benedetto Lavino, che guida Cosmetica Italia, Giovanni Bellomi, direttore generale del Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, Andrea Dominque Illy, co-founder e ceo di Amarey Benedetta Suardi, direttrice scientifica di Kiko Milano e Luigi De Nardo, professore di Scienza e tecnologia dei materiali al Politecnico.

«L’impianto normativo europeo sul fronte della sostenibilità ambientale attuale si basa su una serie di direttive che hanno prodotto una situazione di disomogeneità in cui l’industria cosmetica sempre più spesso deve fronteggiare richieste incoerenti e contraddittorie che ostacolano la vocazione internazionale. È necessario fare sentire la voce della cosmesi affinché il Parlamento europeo legiferi in materia tenendo conto delle peculiarità della filiera, per portare chiarezza e un’armonizzazione tra le norme e tra gli Stati», ha detto senza girarci intorno Moretti. Senza addentrarci in complicati tecnicismi, ecco alcuni esempi dello sfasamento denunciato.

La nozione di riciclabilità, a cui mercato e autorità nazionali e internazionali guardano come requisito a cui tendere rapidamente, non è normato e standardizzato. Pertanto, la definizione è lasciata alle autorità nazionali o locali con la conseguenza che ciò che risulterebbe riciclabile in un Paese non lo è in un altro; le filiere di raccolta, selezione e riciclo cambiano da Paese a Paese rendendo arduo il compito dei produttori di packaging cosmetico impegnati a soddisfare le richieste di riciclabilità avanzate dai clienti. E non si pensi che si tratti di una rivendicazione ‘minore’. Il settore, che porta il concetto di sostenibilità nel proprio Dna (bellezza e natura sono un binomio inscindibile), è uno dei piatti forti dell’Italian style, del Made in Italy.

La Cosmetic valley italiana riunisce, sotto le insegne del Polo, 90 aziende tra Crema, Bergamo, Milano-Brianza (il cosiddetto quadrilatero della cosmesi), quasi 5mila addetti e un fatturato aggregato di 800 milioni di euro. Lavino, presidente di Cosmetica Italia (riunisce le imprese del settore aderenti a Confindustria ed è stata guidata fino allo scorso anno dal cremasco Renato Ancorotti, ora senatore) ha evidenziato che «la filiera cosmetica in Italia impiega oltre 300.000 persone. La Lombardia è il cuore pulsante, il motore di una eccellenza: in regione ha sede quasi il 55% delle imprese, con un fatturato di 8,8 miliardi di euro nel 2022, il 66,2% di quello nazionale».

E Crema è uno dei punti nevralgici di questo mondo. Secondo ‘Eurobarometro 2023’, l’annuale sondaggio tra i cittadini sul gradimento delle politiche dell’Unione, quasi un italiano su due (43 per cento) le priorità sono il sostegno all’economia e la creazione di posti di lavoro. Un’istanza chiara e precisa, alla quale vanno date risposte concrete se non si vuole alimentare l’euroscetticismo che per molti sondaggi è fenomeno in crescita. A partire dalle domande poste al simposio di Crema. Se non si vuole correre il rischio di finire, per dirla restando in tema, più sani, più belli e... più poveri.

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