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CASALMAGGIORE

Anziana morta al Busi, il direttore e il medico si difendono

De Ranieri e Martelli, accusati di omicidio colposo per la morte della 82enne Baroni, contestano la patologia riversata nel capo di imputazione: «Non era affetta da delirium ma da wandering»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

11 Ottobre 2023 - 19:43

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L’ingresso della casa di riposo Busi di Casalmaggiore

CASALMAGGIORE - Contestano la patologia riversata nel capo di imputazione. L’anziana Eugenia Baroni, 82 anni, ricoverata al Busi per un decadimento cognitivo, «non era affetta da delirium», ma dal «wandering», ossia «girovagare, vagabondare senza una meta o uno scopo, in risposta ad un impulso impossibile da controllare». Giuseppe de Ranieri, direttore sanitario dell’Rsa e Hugo Jesus Martinelli, all’epoca medico del reparto, si difendono, oggi, dall’accusa di omicidio colposo: la morte, il 2 agosto del 2020, domenica, dell’anziana Eugenia, caduta dalle scale con la carrozzina su cui si muoveva cinghiata, dopo essere uscita dalla porta d’emergenza allarmata non chiusa, ma «appoggiata» in fondo al reparto, il Nucleo B al primo piano.


Eugenia non era nella sua stanza, la numero 28 (tra l’altro vicina alla porta) , ma aveva appena lasciato il refettorio, dopo la colazione. Nel mese di luglio, ci aveva già provato quattro volte ad allontanarsi: il 17, il 19, il 22 e il 30. Il 2 agosto né il direttore sanitario né il medico erano al lavoro. Il 2020 è l’anno della pandemia con le mille difficoltà che medici e operatori sanitari dovettero affrontare a maggior ragione nelle Rsa. Anche al Busi. Eugenia vi arrivò 18 mesi prima «con un un grado avanzato di decadimento cognitivo». Presentava «disturbi del comportamento».

A giugno di tre anni fa, per un presunto contatto con un paziente Covid, l’anziana fu messa in isolamento per quindici giorni in un’altra stanza, da sola. E per una persona affetta da wandering, «confinarla in un’altra camera» comporta una serie di conseguenze. Eugenia aveva perso i suoi punti di riferimento, come la compagna di camera. Non solo. Proprio perché era solita «girovagare», le avevano cambiato carrozzina per impedirle di spostarsi (le avevano dato una di quelle carrozzine che non si possono spingere con le mani e «ci si ribalta sul posto»).

L’avvocato Giovanni Benedini

Ma i cambiamenti «accentuarono i suoi disturbi comportamentali». A luglio, l’82enne fu riportata nella sua stanza. Ritornò a girare sulla vecchia carrozzina. Nella valutazione dei rischi, il direttore sanitario mai avrebbe calcolato che Eugenia potesse spingere e aprire la porta allarmata. «Negli anni, io ho ricevuto segnalazioni sulle porte, non quella. Siamo intervenuti sull’impresa di pulizie. Capitava che l’addetto alle pulizie che aveva due carrelli, passasse il varco con un carrello e lo chiudesse dopo aver preso l’altro carrello». Ma che l’anziana Eugenia, nel Nucleo dov’era ricoverata «potesse passare quel varco, era un rischio inesistente». «Segnalazioni ufficiose» di operatori sanitari che escono a fumare, il direttore sanitario ne ha avute, ma «sarei estremamente sorpreso che qualcuno, dopo aver fumato (un malcostume, però succede), se ne vada non chiudendo bene la porta».


A luglio, Eugenia, girovagando per il reparto, ci provò quattro volte ad uscire. «Il Busi è dotato di Nuclei specifici: 15 posti su 175. Siamo abituati a gestire anche nei reparti tradizionali determinati pazienti, sempre dopo una valutazione del rischio. Io mi sono sentito un po’ condizionato dal clima Covid. I continui spostamenti stavano condizionando la paziente. Ho tentato la soluzione meno impattante», prosegue De Ranieri, per il quale Eugenia ad un certo punto «necessitava di essere trasferita in ambienti più specialistici», ovvero il Nucleo Alzheimer, ma «l’iter di trasferimento richiede tempo».

Il direttore sanitario si confronta (sempre) con il medico, ne parla con il genero di Eugenia, il quale prende tempo. «I familiari sono sempre increduli ad accettare l’Alzheimer», sottolinea Martinelli. De Ranieri vuole avere un colloquio con le figlie dell’anziana: verrà fissato il 3 agosto. Troppo tardi. «Per il disturbo di vagabondaggio non esiste una terapia farmacologica», prosegue Martinelli. All’anziana Eugenia venivano somministrati antidepressivi e ansiolitici. Se fosse stata sedata in modo massiccio? «Non era assolutamente il caso, era già molto fragile». Eugenia avrebbe corso il rischio di «ab ingestis»: il cibo e gli alimenti le sarebbero andati di traverso. E, poi, avrebbe avuto «le piaghe da decubito».


Il processo viene aggiornato al 15 novembre, giorno della discussione e della sentenza. «Vedremo l’esito del giudizio che rispetterò, pur fidando nel giudicante», commenta mentre lascia il palazzo di giustizia l’avvocato Giovanni Benedini, difensore del direttore sanitario De Ranieri. Il legale aggiunge: «Dico solo, come mia considerazione personale, che a fronte di una società in crisi che fuori dall’ipocrisia di comodo, in fondo rifiuta i vecchi, mi onoro di difendere sanitari che forse rischiando e subendo incriminazioni che mi auguro saranno polverizzate, nelle loro scelte terapeutiche, nella gestione dei rischi insiti nella patologia dei loro pazienti, seguono l’etica della medicina. E ciò personalmente, visto che non ho più 30 anni, mi conforta».

LA CAPO INFERMIERA: «ERO PREOCCUPATA PER LA SITUAZIONE»

Assunta alla Rsa Busi dal 1992, Antonella Colombi è la coordinatrice delle infermiere nel Nucleo al primo piano. Il 2 agosto, lei non era presente in reparto, perché era domenica. «E la domenica io sono di riposo». E non era al lavoro neppure il 17 e il 19 luglio, quando l’anziana Eugenia Baroni tentò di aprire la porta antipanico. «Nel mese di luglio ero in ferie, precisamente dal 2 al 19», spiega la capo sala imputata di omicidio colposo insieme al direttore sanitario e al medico. Rientrata dalle ferie, il 20 luglio la coordinatrice delle infermiere prese le consegne, Nel diario clinico di Eugenia, lesse di quei due tentativi dell’82enne di uscire dal Nucleo attraverso la porta antincendio «e preoccupata dalla situazione» pensò: «Bisogna fare qualcosa». Nel giorno della sua difesa, Colombi ha racconta di aver parlato con il direttore sanitario. «Sempre da lui — aggiunge — ho saputo che aveva contattato i parenti, i quali si erano però presi del tempo per decidere sullo spostamento della paziente».


La coordinatrice infermieristica precisa di non avere poteri decisionali. «Io non posso decidere di spostare i pazienti, devo sempre confrontarmi con i superiori, con il direttore sanitario, il quale poi mi ordina di fare il trasferimento». Anche perché l’unica volta in cui decise di trasferire un paziente, «senza avere avuto l’autorizzazione per iscritto, fui poi sottoposta a procedimento disciplinare». Non è di competenza della coordinatrice infermieristica la terapia farmacologica. «Sapevo che c’era stata una degenerazione cognitiva per quel che avevo letto». Anche lei si ricorda di un episodio in cui l’anziana Eugenia «vagabondava». E sulla porta anticendio, parlandone in generale, afferma di aver fatto «qualche segnalazione perché la gente usciva a fumare». 

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